Scrittori e giornalisti per «Grand Hotel Scalfari»
«Scalfari è lo spartito, e noi lo abbiamo suonato». Spiega così Francesco Merlo, autore con Antonio Gnoli di «Grand Hotel Scalfari» (Marsilio), l’espediente narrativo dell’«Io» usato per scrivere a quattro mani le «Confessioni libertine su un secolo di carta». Eugenio Scalfari, scrittore e fondatore del quotidiano la Repubblica, dalla prima fila e poi dal palco, apprezza il lavoro: «Lo considero un capolavoro, un libro molto speciale. È stato scritto da me in apparenza, ma mi sono riconosciuto, altroché. Mi ha fatto capire cose che erano dentro di me, le ha rese esplicite». Al Tempio di Adriano in piazza di Pietra, esile e profondo, l’attore Roberto Herlitzka legge per tre volte dalle pagine che trasudano ricordi: dalla genesi della celebre barba bianca, che ha creato tanta letteratura (leggibile come una carta d’identità) al rapporto con Papa Francesco, dall’oratorio alle nuotate a dorso a Porto Ercole. Silenzio, rispetto e devozione si passano il testimone durante tutta la durata dell’incontro. «Vedo una sala molto affollata, sono stupefatto. In una sola volta, amici o volti a me noti, mi sembra di stare a casa» commenta Scalfari osservando la platea, dove siede la moglie Serena con le figlie Enrica e Donata, insieme a giornalisti tra cui Annalisa Chirico, Pietrangelo Buttafuoco e Federico Rampini, Ludina Barzini, e poi Giancarlo Santalmassi, Jas Gawronski, Paolo Guzzanti, Fabiano e Lilli Fabiani,
Cristiano Leone. Arriva un messaggio di Natalia Aspesi. Il direttore di Repubblica Carlo Verdelli coglie il momento per raccontare il primo incontro: «Lo temevo. Scalfari rappresenta un punto di riferimento, un Maestro. Mi auguravo di riuscire a fare colpo, e avere la sua benedizione». Il consiglio di Paolo Mieli: «Leggete questo libro come un romanzo, e non una volta sola».
Un racconto speciale Scalfari: «Mi ha fatto capire cose che erano dentro di me, le ha rese esplicite»