«Mi svegliai con Venditti, ora canto io»
Gianluca Sciortino nel ’92 uscì dal coma. In coppia con Tony Esposito punta a Sanremo
Gianluca, piacere. Domanda obbligata: come stai?
«Considerato quanto mi accadde quel 9 novembre di 27 anni fa, molto bene, grazie! Certo, non riesco ancora a correre e ho qualche problema alla mano sinistra. Spesso ci penso: cosa darei per tornare a prima di quella data e da lì riprendere la mia vita».
Una vita senza dottori...
«Sì, quella di un bambino spensierato, con tanta gioia addosso, le prime cottarelle, la scuola-calcio, dove a detta degli allenatori ero una promessa. Una serenità stroncata in pochi minuti dall’emorragia cerebrale, causata da una malformazione congenita, che mi sorprese a scuola...»
1992. Correva un anno cruciale della storia recente. L’Italia stretta tra Tangentopoli e le stragi di mafia, crisi economica, vecchi partiti al tracollo... Ma nel clima natalizio, in prima pagina, trovò posto anche una storia lieta. Era il 22 dicembre. «Dopo 41 giorni di coma, si risveglia con Venditti», titolò il Corriere.
Eccolo, era lui: quel bimbetto fotografato in un letto del Cto della Garbatella, occhi semichiusi e funzioni vitali sotto monitoraggio, fece piangere di gioia i suoi genitori e una nazione intera: dopo quasi un mese e mezzo di «sonno» seguito al malore che l’aveva fatto crollare in classe, nella scuola media di Poggio Ameno, Gianluca Sciortino, 10 anni, figlio di un impresario musicale, tornò alla vita nel più sorprendente dei modi: cominciò a canticchiare.
Mamma Germana da giorni era lì, con le cuffiette e il registratore, per stimolarlo, e stentò a crederci. Tese le orecchie: sì, con un filo di voce suo figlio stava intonando proprio «Dimmelo tu cos’è», una delle canzoni preferite in casa.
Cantava, Gianluca, e non ha più smesso. Anche oggi che è un giovanotto di 37 anni, riccioli neri e la grinta contagiosa di che ne ha viste tante, compresa la fiction Rai «In nome del figlio» dedicata alla sua vicenda, in onda nel 2008. Musica, null’altro. Ora è lui il cantautore. Per curare sé e gli altri. Per passione. Per lavoro. E per un sogno segreto, che presto o tardi, chissà, sul palco dell’Ariston potrebbe avverarsi...
Cominciamo dai quei 41 giorni, Gianluca. Lo stato di coma si può raccontare?
«È un vissuto incredibile. Si oscilla tra il buio totale e una luce soave, accogliente, capace di trasmettere pace. Vedevo il mio corpo dall’alto con i medici attorno e, attraverso un vetro, i volti affranti dei miei genitori. Le loro lacrime e la mia voglia di dirgli che stavo bene, di consolarli... E poi il dubbio martellante se fosse realtà o incubo».
E il risveglio? Gioia pura?
«No, paura di non farcela. Cercare aiuto e la conferma di essere in vita, ma ritrovarsi paralizzato, non vedere bene, difficoltà ad accettarsi nella nuova condizione...»
Esperienza che fortifica.
«Vero. Impari ad apprezzare le piccole cose, come il semplice respirare, o vedere la luce nitida del sole, o fare pochi passi. Nella sfortuna mi reputo fortunato ad avere avuto due genitori capaci di sostenermi con amore, intelligenza e sacrifici sovrumani».
Tornare a vivere è stata dura?
«Già... Tra i 10 e i 20 anni è stato il periodo più triste e difficile. Ma ho imparato a capovolgere il negativo in positivo, a cominciare dal sentirmi diverso dai compagni del liceo scientifico Primo Levi. Una sofferenza che mi ha portato a lottare più che mai...»
E a impegnarti nel sociale.
«L’associazione della quale sono promoter è Musica per la vita, con la quale cerchiamo di diffondere la musicoterapia, intesa come potere rigenerante, capace di risolvere o alleviare i traumi più seri. Da questo punto di vista la notorietà mi gratifica perché mi fa sentire utile, in grado di aiutare persone che soffrono di patologie fisiche e psicologiche... Tra i personaggi che hanno aderito ho il piacere di citare il grande Tony Esposito, che con me si diletta anche in sala d’incisione».
La musica ragione di vita?
«Totale, assoluta. Il modo più diretto per comunicare emozioni e arrivare al cuore delle persone».
Di quali contenuti cerchi di riempire le tue canzoni?
«Amore per la vita in tutte le sue sfaccettature e ricerca di un senso attraverso il pensiero, da trasmettere a chi verrà dopo di noi...»
Dal letto di un ospedale al palcoscenico. Sei stato apripista di tanti big, dai Cugini di campagna a Ron e Tullio De Piscopo. Ora ti prepari al grande salto?
«Non inseguo il successo, voglio essere me stesso. E dire qualcosa di profondo, duraturo. Ogni mio brano racchiude un frammento della mia anima e della mia esperienza. Un
giorno di dicembre, la prima canzone che ho scritto, tratta il tema del passaggio tra la vita e la morte e l’ho dedicata a mia madre; La nuova era l’ho composta pensando alla situazione di crisi economica e sociale, d’incertezza, e rimanda anche al mio vissuto; All’alba di Pescara è un omaggio a Venditti, con un parallelo tra la luce della mia prima alba sull’Adriatico, dopo un suo concerto organizzato da mio padre Pino, che ne era l’impresario, e la luce della vita nel risveglio dal coma».
E siamo all’oggi: Sanremo 2020. L’Ariston è un sogno anche per te, come per chiunque sogni di vivere di sola musica?
«Non lo volevo dire, qualcuno mi ha fatto una sorpresa...» Seduto nel salotto della loro casa in zona Capannelle, dove il piano garage è adibito a sala d’incisione, Gianluca si volta verso papà Pino con espressione interrogativa. Come per chiedergli: sei stato tu a dirglielo? Il genitore sorride e alza le braccia scherzoso: «Io non c’entro! È stato un mio amico discografico, Rolando D’Angeli, a insistere...»
Gianluca, suvvia, confessa.
«Ok, lo ammetto! Il mio ultimo lavoro con Tony Esposito si intitola Oltreoceano ed è in lizza tra i big per il Festival di Sanremo. Anche se non dovesse passare, conta il significato: la canzone mette in risalto un tema attuale, l’esodo al quale sono costretti i nostri ragazzi per trovare lavoro all’estero, dove c’è più meritocrazia; e dove anche molti dei nostri anziani, nell’età di una misera pensione, devono andare per sopravvivere, lasciando il Paese che amano e i loro valori, i loro affetti».
Diavolo di un ragazzino: da quel motivetto bisbigliato in un reparto di rianimazione ne ha fatta, di strada. Dimmelo tu cos’è...
Il malore Era il 9 novembre 1992: fu colpito da emorragia cerebrale a scuola Il buio Si svegliò 41 giorni dopo: «Vedevo il mio corpo dall’alto e tanti medici attorno» Rinascita «Nelle mie canzoni c’è amore per la vita, la voglia di dividere emozioni»