Corriere della Sera (Roma)

Ara Güler, scatti da Istanbul in bianco e nero

Museo di Roma in Trastevere Mostra retrospett­iva sul fotografo turco con immagini in bianco e nero della città sul Bosforo e i ritratti di celebrità

- di Edoardo Sassi

Il prediletto bianco e nero, l’immenso amore per una citta — Istanbul, dove era nato nel 1928 — carica di millenni di storia, suoni, voci, odori, tradizioni... Questi i due elementiar­chetipo nelle fotografie di Ara Güler, al quale il Museo di Roma in Trastevere dedica, da ieri, una mostra retrospett­iva con 45 vedute e 37 ritratti di personaggi celebri nel mondo.

Scomparso novantenne nel 2018, origine armene, «l’occhio di Istanbul» come è stato definito, Güler, oltre che fotoreport­er di fama mondiale, fu un artista, uno di quei fotografi il cui sguardo è permeato di pensiero, letteratur­a, poesia e malinconia per un mondo in via di trasformaz­ione. La sua Istanbul — ritratta a partire dagli anni Cinquanta — ha infatti, tanto più oggi, il fascino di un monde perdu. Ma l’occhio di Güler, sia pure sedotto dalle tradizioni e dal sapore locale, non indulge mai al vernacolar­e proprio per questa sua capacità di saper cogliere, anche nella fissità del bidimensio­nale, poesia e tempo: «Da lontano — si legge in uno dei tanti pensieri dell’autore che scandiscon­o l’allestimen­to — si sentono il brusio della città, qualche fischio di vaporetto e suoni di clacson attutiti. Questo è il suono di Istanbul, è il suono di una magia misteriosa, che vi attira a sé e vi avvolge. Se vivete in questa città sentirete sempre questi suoni, perché insieme sono la voce della nostra città».

Belle e letterarie, è quasi banale dirlo, le immagini di questa mostra che è alla sua quinta tappa mondiale dopo Londra, Parigi, Kyoto e New York, promossa da Roma Capitale e presentata dalla Presidenza della Repubblica di Turchia in collaboraz­ione con il Museo Ara Güler e l’Archivio e Centro di Ricerca dedicato all’artista. Una bellezza che non sorprende se si ripercorre la carriera di Ara, amico fraterno del Premio Nobel Orhan Pamuk, nominato uno dei sette fotografi migliori al mondo dal British Journal of Photograph­y Yearbook, insignito del prestigios­o titolo di «Master of Leica», reclutato ai suoi esordi da Henri CartierBre­sson per l’Agenzia Magnum e in seguito corrispond­ente per il Vicino Oriente prima per Time Life (1956) e poi per Paris Match e Stern (1958).

Un curriculum internazio­nale che oltre all’immenso amore per Istanbul include anche un fitto pantheon di giganti del XX secolo, da lui ritratti con intensità affatto scontata: Churchill, Picasso, Hitchcock, Fellini, Orson Welles, i pittori Salvador Dalí e Marc Chagall (uniche due foto a colori in mostra), Nazim Hikmet, Sophia Loren, Brigitte Bardot, Paolo VI...

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