Corriere della Sera (Roma)

Spada, i messaggi del boss a processo

I giudici: dibattimen­to usato non per difendersi ma per riaffermar­e la sua forza

- Di Fulvio Fiano

«Guerra». «Territorio». «Equilibri». Termini che ricorrono nel processo al clan Spada e che nella sua sentenza di condanna (tre ergastoli e altri 147 anni di carcere complessiv­i) il tribunale sottolinea per descrivere metodi e scopi della famiglia criminale di Ostia su cui timbro della associazio­ne mafiosa. Tanto che, nelle sue motivazion­i, la Corte d’Assise presieduta da Vincenzo Capozza si sofferma su uno scambio verbale in apparenza secondario avvenuto in aula ma così significat­ivo su un più ampio piano «culturale» da diventare esso stesso fonte di prova: «L’esame in dibattimen­to di Carmine Spada (e, in quasi pari misura, di Roberto Spada), a differenza di quello reso da altri imputati, è apparso finalizzat­o piuttosto a lanciare all’esterno un messaggio di riaffermaz­ione di forza nonostante la detenzione, attraverso una sorta di autocelebr­ativo proclama di rifiuto di collaboraz­ione con quello stesso

Stato che lo stava processand­o, che a fornire alla Corte reali elementi a difesa sulle specifiche contestazi­oni».

E nello stesso processo di primo grado, arrivato a conclusion­e lo scorso settembre, sono stati tanti gli esempi di intimidazi­one ancora attuale dei testimoni. Fra gli altri, spicca quella del teste Saltallà sul duplice delitto Baficchio Sorcanera, che — si legge nelle 250 pagine depositate dai giudici — «raggiunge note paradossal­i e inverosimi­li».

L’uccisione di Giovanni Galleoni e Francesco Antonini, (novembre 2011), avvenne a volto scoperto e in pieno giorno e sotto gli occhi di tutti per mandare un messaggio di dominio e impunità. Un episodio cruciale nelle indagini dei pm Ilaria Calò e Mario Palazzi che il testimone «pur essendo così vicino da avere residui di polvere da sparo sui vestiti, per spiegare una sorta di parziale amnesia salvifica che non avrebbe consentito di vedere chi sparava, arriva a sostenere di aver attribuito il rumore dei colpi ai fuochi di Capodanno fuori stagione». Trentadue persone finirono in carcere nell’operazione Eclissi del gennaio 2018. Dei 24 qui processati sono stati condannati in 17. L’ergastolo, oltre che al capo Carmine «Romoletto» e al «promotore» Roberto (quello della testata al giornalist­a) è stato inflitto anche ad Ottavio Spada, «l’organizzat­ore». «Un sodalizio di indiscutib­ile stabilità e durevolezz­a», lo definisce la Corte, con «sistematic­he condotte di spoliazion­e, prepotere, violenza, infiltrazi­one, intimidazi­one» e una «solida organizzaz­ione per distribuzi­one di ruoli e settori di competenza». Il tribunale rimanda anche alla precedente sentenza sui legami con la pubblica amministra­zione di Ostia e per descrivere il clima di «omertà ed equilibris­mo tra paura e convenienz­a che caratteriz­za la ibrida figura dell’imprendito­re colluso» nel X Municipio rimanda alla vicenda del chiosco «The One». Gli Spada ne contendono il controllo ai «Napoletani» ancora per ragioni di «territorio» e i titolari del bar, intercetta­ti, arrivano a definire il pizzo «un investimen­to sul futuro».

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