FERMIAMO L’ESODO DEI GIOVANI
Arivederlo e a ripensarci, quel film è geniale. Con anni di anticipo, Paolo Sorrentino – con La Grande Bellezza – ha saputo mostrarci, in una sorta di provocatoria anteprima, l’incosciente contorcersi di una Roma salottiera avvolta in una coltre di muffa esistenziale. Come e meglio di una immaginifica, futuribile risonanza magnetica dell’anima, già nel 2013 il regista ha colto e offerto, senza filtri, gli effetti nefasti che su una città possono avere la mancanza di novità, di aria fresca, di stimoli, di sguardi al futuro. Quei salotti logori e fatui che Sorrentino raccontava sono, infondo, i prodromi di un male più vasto che affligge inesorabile – ogni angolo della Capitale.
Come tutti gli organismi animati, anche le città hanno bisogno di linfa, di attenzioni, di progetti. Devono essere guidate, rinnovate, arricchite. Chi le popola – viva nel centro storico o in periferia – chiede occasioni, opportunità, prospettive. Il nuovo, l’idea, sono la scommessa dei giovani, la vera forza di una comunità che non voglia appassire, arrendersi. Al di là dei tanti problemi di Roma – spazzatura, topi, trasporti, buche, buio e così via – c’è un male più profondo, oscuro, ed è il non saper disegnare un futuro per i giovani. Costringerli a trasferirsi, a fuggire. Sembra – è - un paradosso per una città che dovrebbe essere una calamita e non solo perché rappresenta un intero Paese ma per quel che racconta la sua storia.
Sembra - è - un paradosso per una città che si colloca alla metà geografica di un’Italia stretta e lunga, per avere tutto quel che serve ad attirare capitali da ogni parte del mondo.
Invece le aziende fuggono, scelgono la Milano rivitalizzata, bella, che corre. E a Roma i giovani si contendono quel poco che resta e poi se ne vanno anche loro. Al Nord, come tanti loro bisnonni e nonni. Non un bel risultato dopo tanti anni in cui il futuro avrebbe potuto proiettare Roma nel mondo delle capitali del domani. Ma bisogna avere testa, cultura, capacità, passione e umiltà.
Ad Alemanno, Marino, Raggi – difficile negarlo - è mancato tutto. Non se ne abbiano a male, anche perché chi ha sbagliato – ancora più di loro – sono stati quei romani che in Campidoglio ce li hanno mandati. Tra poco più di un anno si tornerà a votare. Stavolta, scegliamo bene.