«Per il mio bene», l’infanzia difficile di Ema Stokholma
Ema Stokholma, dj e conduttrice, racconta la sua infanzia segnata dalla paura e la fuga nel romanzo d’esordio «Per il mio bene»
La sua storia è rimasta nascosta per 36 anni, finché ha trovato la forza di condividerla grazie a un fatto di cronaca: «Quando ho letto di Giuseppe, morto a nove anni per le botte del patrigno, ho provato empatia, mi sono ricordata di cosa significhi sentirsi soli».
Morwenn Moguerou, in arte Ema Stokholma, dj e conduttrice radiotelevisiva (nel 2013 partecipa, tra gli altri, al programma Aggratis! su Rai 2 con Andrea Delogu), racconta la sua infanzia segnata dalla paura nei confronti della madre violenta, descritta come «il mostro», nel romanzo Per il mio bene (Harper Collins), che presenterà stasera alle 18 alla libreria Feltrinelli (via Appia Nuova 427).
«Purtroppo nessun adulto, dalle maestre ai vicini di casa, ha aiutato me e mio fratello Gwendal — ricorda —. Se senti un bambino che urla ogni sera nella casa accanto bussi e gli tendi la mano, così aiuti non soltanto lui, ma anche la mamma». Inutile l’intervento dei servizi sociali: «Vivevamo in condizioni economiche precarie, ma con gli estranei mi autocensuravo. Temevo che, se avessi rivelato cosa succedeva, lei me l’avrebbe fatta pagare».
A 15 anni scappa di casa, dalla Francia raggiunge il padre in Italia, con il quale però resiste qualche mese: «È sempre stato assente». Dopo un periodo in cui molla tutto e vive in strada («Prima di trovarmi ho vissuto molte esperienze»), si trasferisce a Roma, ospite di una ragazza, dove inizia a lavorare. Se non fosse che, presto, agli ingaggi da modella, preferisce la musica: «Mi piacevano le discoteche, in quegli spazi senza luce, con il volume alto, ho trovato la mia comfort zone. Ho iniziato ad ascoltare brani di tutti i generi, finché ho comprato la prima console». Fondamentale è stata la scelta di seguire un percorso di psicoterapia: «A 30 anni ho cominciato ad andare in analisi, mi è servita per risolvere alcuni comportamenti a volte violenti, aggressivi, paranoici». Nell’elaborazione del suo passato le sono stati di aiuto anche gli esempi di artisti di successo come Eminem e Michael Jackson:
«Un’altra persona che ringrazio per avermi fatto capire che, da adulti, si possono raccontare gli aspetti più intimi e sofferti è Fabri Fibra».
Tra i capitoli del libro più difficili da chiudere, quello in cui descrive il funerale di sua madre: «È stato tre anni fa, l’ho riscritto decine di volte. Appena lo riprendevo in mano piangevo, mi ha fatto penare». Sebbene non sia ancora riuscita a perdonarla, oggi sente di voler rompere le catene che, altrimenti, continuerebbero a tenerla legata ai ricordi: «Ho capito che per una donna sola, abbandonata dall’uomo che amava, non deve essere stato facile crescere due figli senza soldi e alcun tipo di supporto».
Riconciliarsi con la sua storia le ha permesso di vincere la paura di trasformarsi, un giorno, nel «mostro» che la tormentava: «Da piccola ero terrorizzata all’idea di diventare come lei, ma quando ho preso un cane, Jordan, mi sono scoperta dolce e paziente».