COSÌ ROMA SI SALVERÀ
Fino al 90% di cancellazioni delle prenotazioni alberghiere nel mese di marzo. Nuove prenotazioni, di qui a giugno, giù del 60% sui dati storici. Fiere, convegni, eventi aziendali: tutto cancellato. Milioni di euro di perdite ogni giorno per alberghi, agenzie, ristoranti e commercianti. Piccole aziende in crisi, migliaia di posti di lavoro a rischio. Quello diramato dalle associazioni di categoria è un bollettino di guerra. L’industria turistica è in un abisso. Eppure le zone rosse, attorno ai focolai del coronavirus, distano centinaia di chilometri. Non coprono l’1% del territorio nazionale, ma stessa situazione in tutta Italia. Non c’è lavoro a distanza che tenga. Il turismo è fatto di persone che si spostano nei luoghi di elezione. Il virus, dalla periferia cinese, sta democraticamente mettendo al tappeto persone e mercati nel globo. Il settore in Italia vale oltre cinque punti di Pil. Enormi i danni all’economia, effetto di una psicosi diffusasi in maniera virale, appunto. I messaggi trasmessi dall’alto hanno ingenerato più ansia che sicurezza. Col nostro eccellente servizio sanitario si sarebbe persino potuto celebrare un presidio capillare che andava somministrando il maggior numero di esami per ridurre al minimo i casi di contagio. Si sono diffusi i dati senza la didascalia. Una comunicazione fallace, in difetto di unità di intenti tra Stato e Regioni, ha annichilito viaggiatori e imprese.
La miccia del panico si è accesa così. Due lampi, per capirci. Inspiegabile il gesto del governatore della Lombardia che si mostra in video con la mascherina. Ha fatto il giro del mondo, alimentando la percezione che l’Italia stesse per trasformarsi in lazzaretto. Per fortuna, ogni città ha i suoi anticorpi. A Milano, alcuni esercenti della ristorazione, stufi del caos, hanno fatto leva sulle loro gambe, prima di cadere in ginocchio, con una breve clip e il giusto marchio di fabbrica: #Milanononsiferma. Reazioni coinvolgenti e migliaia le condivisioni sui social. Istinto di sopravvivenza e ottimismo sono i migliori amici dell’uomo. Degli imprenditori, soprattutto. Il turismo poi è nel Dna di Roma. Bene così i provvedimenti del governo e del Campidoglio, per alleviare le conseguenze dei danni arrecati. Ora servono mirate azioni di marketing: messaggi chiari e forti, da disseminare come vaccino all’infodemia. A leggerlo, il decalogo distribuito dal ministero della Sanità è il sunto di un breviario igienico per bambini. Ci vorrebbe forse un altro decalogo per comunicare correttamente tra adulti. La resilienza degli operatori può essere l’antidoto a tali malanni. L’unione fa la forza e la comunicazione è un mezzo potente, se usato bene e con discernimento. Ci si metta pure l’entusiasmo tipico delle nostre zone che può essere anch’esso contagioso. Al megafono della rete, ad esempio, si dica che, sabato scorso, lo stadio Olimpico di Roma ha tenuto porte aperte ai tifosi laziali. Hanno risposto in massa: 45mila spettatori, persino oltre la media stagionale. Una folla di scriteriati? La squadra biancoceleste vive un momento felice, ma non è tutto. Al contrario che nei Promessi Sposi, non si è ignorato né il pericolo, né quanto vanno ripetendo i medici. Perché allora, nel frattempo, si è agito di modo che alberghi e centri congressi restassero deserti? In attesa ora di una gestione cauta, centrale e univoca della comunicazione istituzionale, in base alle linee guida delle autorità preposte, ognuno può fare il suo. In un mondo in cui la comunicazione è anch’essa virale, chiunque sia dotato di computer e account social può raccontare al mondo la verità e riportare persone e buon senso a casa. Cioè da noi, maestri dell’ospitalità, trattati oggi invece da untori. Ci vuole un colpo di reni. Se non viene dall’alto, spingiamo il messaggio in rete tutti noi. Con la massima energia possibile e in maniera virale: #Romanonsiferma, l’Italia non si ferma.