D’Amato: «Roma chiusa oltre il 3 aprile»
L’assessore regionale alla Sanità: «Nuovi letti dalle strutture private, previsto nel Lazio un aumento dei casi del 30%»
Roma resterà chiusa anche dopo il 3 aprile. Lo annuncia l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato, secondo cui i tempi per uscire dall’epidemia di coronavirus «non saranno brevi». «Siamo in guerra - sottolinea D’Amato - e ci stiamo attrezzando a tutti gli scenari possibili». Nel Lazio è previsto un aumento dei casi (ieri i nuovi sono stati 87) «del 20-30%, fino ad arrivare a tre volte tanto quelli che sono oggi». «Questa e la prossima settimana - chiarisce l’assessore - saranno importantissime per verificare l’efficenza e l’esito delle misure del governo». Una situazione molto difficile, che la Regione intende affrontare con «nuovi letti nelle strutture private» e più tamponi: da oggi si faranno anche al San Filippo Neri e al Pertini.
«Siamo in guerra. Ci stiamo attrezzano a tutti gli scenari possibili. Ma se il coronavirus mantiene un trend stabile o fa segnare un aumento lieve ci dà un vantaggio e ci consente di attrezzarci al meglio. Però i tempi per uscirne non saranno brevi». Come per i medici e gli infermieri in trincea, non conosce più riposo, non ci sono pasti da rispettare, la notte è come il giorno anche per l’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato. Che da dietro le quinte scrive la regia del piano per fermare il Covid-19 nel Lazio.
Che scenario vi aspettate nei prossimi giorni?
«Le nostre previsioni, confermate anche dall’andamento reale del virus, non parlano di un raddoppio dei casi, ma di un aumento del 20-30 per cento. Fino ad arrivare a tre volte tanto quelli che sono oggi. Questa e la prossima settimana saranno importantissime per verificare l’efficenza e l’esito delle misure restrittive del governo».
Quindi, a conti fatti, la data del 3 aprile come ripresa di una vita normale per i romani e i laziali non è più realistica?
«Non si può prevedere con certezza. Ma penso che quella data verrà superata. Al momento non ci sono e non credo ci saranno le condizioni per la riapertura delle scuole».
Anche nella nostra regione, come in Veneto, si parla di un’ipotesi di tamponi a tappeto, conferma?
«Sì, ma va specificato che gli asintomatici non rientrano in questa procedura. I test verranno fatti su chi presenta sintomi e ha avuto contatti con persone risultate positive. A oggi ne abbiamo fatti 9630, un numero importante, il doppio di Piemonte, Toscana e Friuli Venezia Giulia. Per passare a questa fase però dovremo già avere a disposizione il test rapido. Intanto da domani entreranno in funzione anche i laboratori del San Filippo Neri, del Pertini e di
Frosinone».
State pensando anche a un aiuto da parte dei privati, che nel Lazio non sono pochi?
«Proprio oggi (ieri, ndr) abbiamo fatto una riunione con le associazioni della sanità privata e abbiamo chiesto anche a loro un grande sforzo. Tutti si sono messi a disposizione».
E come potranno nella pratica supportare il sistema pubblico?
«In due modi. O come ha già fatto l’istituto clinico Casal
Palocco, che mercoledì aprirà come Covid hospital 3, mettendo a disposizione dodici posti letto di terapia intensiva e venti di infettivologia, oppure aiutando nello svuotamento dei plessi di altri ospedali, ospitando pazienti non affetti da coronavirus».
❞ Abbiamo fatto una riunione con le associazioni della sanità privata e chiesto anche a loro un grande sforzo. Tutti si sono detti disponibili
Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha affermato che se l’epidemia arrivasse nel capoluogo lombardo, il sistema sanitario sarebbe in seria difficoltà. Vale anche per Roma?
«Ormai anche Roma ha fat
to registrare diversi casi in città. Purtroppo non ci sono barriere che possano fermare il virus. Noi la stiamo difendendo nel miglior modo possibile. Abbiamo messo in piedi in tempi da record mille posti letto solo nella Capitale, dedicati all’emergenza coronavirus. E un totale di mille cinquecento in tutta la regione».
Quando sono iniziati i contagi nel Lazio, si parlava di casi con link epidemiologici legati con le zone focolaio del nord Italia: Lombardia, Veneto o Emilia Romagna. Oggi è ancora così?
«È evidente che con un numero di casi più elevato, diventa più complesso stabilire un nesso diretto. Ma noi continuiamo a fare le indagini. Le province di Latina e Frosinone, le più colpite e con un chiaro collegamento con il Nord, restano le più attenzionate».
C’è qualche incognita che ad oggi può costituire una “bomba a orologeria” per il sistema Lazio?
«Sì, un’incognita c’è. Ed è costituta da tutte quelle persone che la sera prima dell’ordinanza del governo hanno preso d’assalto stazioni e treni per tornare a casa da Milano e da altre città della zona di sicurezza. Quelle che si sono “denunciate” nei giorni successivi contattando le nostre Asl sono oltre 6mila. È scontato, qualche caso uscirà».