Paolo Cenciarelli, reportage di notte fra gli ultimi
Il reportage di Paolo Cenciarelli, con i volontari della Croce Rossa
La fotografia è memoria e la memoria dei giorni che stiamo vivendo è affidata a immagini che non era possibile ipotizzare solo tre mesi fa. Al di là dei ritratti di città mute e deserte che ormai sono parte del bagaglio iconografico comune, ci sono momenti quasi invisibili che pochi fotografi hanno catturato.
Paolo Cenciarelli, artista visivo già prestato alla moda, alla pubblicità e al mondo accademico — insegna anche Lettura critica dell’immagine alla Sapienza —, dopo aver contribuito all’instant book Nolite timere, Roma non perit 2020 (edizioni Il Cigno), sta lavorando a un progetto che racconta Roma nei giorni che hanno trasfigurato le nostre vite. «All’inizio ho usato la macchina fotografica per prendere appunti e costruire una sorta di diario del coronavirus — spiega — e mi sono reso conto che tutto cambia di continuo, anche adesso che ci stiamo incamminando verso una nuova normalità. Il mio racconto dovrà restituire questo divenire».
Uno stile personale molto riconoscibile quello di Cenciarelli — i cui maestri dichiarati sono Anders Petersen e Jacob Aue Sobol — che ritrae il passare del tempo e finanche il suono, come nel suo lavoro più celebre, Il Vangelo MMXVIII, racconto della controcultura a Roma in un crudo bianco e nero. «Reputo il colore un limite. Io lavoro per lasciare un’interpretazione al lettore delle immagini e quello che altri considerano errore, come lo sfocato e il mosso, per me sono il tempo e il suono dell’immagine». Il colore sarà rara eccezione anche nel progetto a cui sta lavorando, nato seguendo i volontari della Croce Rossa impegnati ad assistere i deboli nella zona di Roma più colpita dall’epidemia, il quadrante nord-ovest. «Un progetto che mi ha permesso di uscire già nei primi giorni di lockdown e di testimoniare il contributo straordinario degli operatori che oggi sono l’unico punto di riferimento per chi vive per strada. Portano un aiuto essenziale a persone scivolate in condizione di povertà estrema e abitano luoghi che non sono nemmeno più baracche, ma veri e propri buchi e sono molto più spaventate di noi dall’epidemia». Stranieri e italiani che non possono permettersi una mascherina, neanche a prezzo calmierato, e abitano una Roma quasi post apocalittica. «Non è una guerra perché il nemico non si vede, ma è uno scenario che ricorda un film di qualche tempo fa, The Road con Viggo Mortensen».
Abbandonata la tecnica estetica introiettata in anni di comunicazione per multinazionali, Cenciarelli rivendica «una fotografia di petto, anzi di pancia, dove la testa subentra solo in un secondo momento, ma come principio mantiene sempre il rispetto per le persone e la responsabilità della memoria». Un’idea di quando questo progetto vedrà la luce? «Sì, ma conosco certi meccanismi di Roma, e non voglio ancora rivelare nulla». Altri obiettivi? «Ritrarre i triage del Covid-19, ma non so se mi riuscirà».
Documento «In luoghi di povertà estrema, non baracche, ma buchi, dove il Covid fa ancora più paura»
Luoghi e volti
Alcuni scatti di Paolo Cenciarelli, che ha lavorato in questi giorni al fianco dei volontari della Croce Rossa nel quadrante nordovest di Roma, tra stranieri e italiani che non possono permettersi una mascherina, «molto più spaventati di noi dall’epidemia»