È la crisi del sabato sera I gestori delle discoteche chiedono aiuto al governo
Azzerato il fatturato, a rischio i 5 mila dipendenti (diretti). Appello a Raggi: «No alla desertificazione»
Sono stati tra i primi a chiudere, quando non era ancora scattato il lockdown. In coda al piano delle riaperture, senza una finestra temporale e indicazioni sulle strategie per ripartire in sicurezza. Eppure il settore dell’intrattenimento, a Roma e provincia, produce ricchezza, posti di lavoro e offerta culturale: «Rappresentiamo un centinaio di locali - spiega Antonio Flamini, presidente di Silb-Confcommercio (Associazione italiana imprese di intrattenimento da ballo e spettacolo) - con 5 mila dipendenti diretti e un fatturato tra i 50 e i 100 milioni l’anno». Senza contare l’indotto, dai fornitori alle società di security, e le attività che gravitano intorno alla movida. Flamini ha scritto una lettera aperta alla sindaca, Virginia Raggi, per chiederle di «impedire la desertificazione delle centinaia di attività commerciali del settore che spegneranno la notte rendendola meno sicura». Tra i più colpiti, il mondo del clubbing ha accumulato perdite del 100 per cento, mentre permangono forti incertezze sul futuro: «La data di una possibile riapertura slitta di continuo, dall’autunno alla primavera del 2021...». Un tempo sospeso, dilatato: per superarlo e rimettersi in pista la categoria chiede la sospensione dei tributi (locali e statali), la soppressione di Tari e Cosap, l’abbattimento del canone d’affitto e finanziamenti a fondo perduto: «Il sindacato nazionale sta spingendo anche su alcune misure necessarie per accompagnare la riapertura: nel nostro settore siamo gli unici a pagare l’Iva al 22 per cento e l’imposta sullo spettacolo al 16 per cento».
Da quando, il 2 marzo, ha deciso di fermarsi per tutelare clienti e dipendenti, Giancarlo Battafarano, in arte Giancarlino, stima perdite per 350 mila euro: «Le serate di marzo-aprile, per noi che siamo aperti quattro giorni su sette, sono le più proficue, quelle in cui si concentra l’offerta migliore per chiudere la stagione all’insegna della qualità». Nel suo club, il Goa, che l’anno prossimo festeggerà i 25 anni di attività, lavora in pianta stabile una decina di persone oltre agli esterni (pr, studi di grafica, agenzie di comunicazione, food & beverage, sicurezza) «che emettono regolare fattura». Da veterano della scena, nella quale ha investito sogni ed energie, ritiene le misure varate finora insufficienti: «Il contributo di 600 euro non può certo tamponare le conseguenze disastrose dei mancati incassi. Alle imprese virtuose, che hanno sempre pagato le tasse, con lo stesso organigramma societario e senza carichi pendenti lo Stato dovrebbe riconoscere il fatturato andato perso in questi mesi. Basterebbe una taskforce...». Quanto alle soluzioni ipotizzate per tornare sul dancefloor, dal termoscanner a occhiali e mascherina, si dice perplesso: «Non si può andare in un locale bardati come se fosse un ospedale o trasformarlo in drive-in... Speriamo che in estate si possa ballare all’aperto riducendo i flussi».
Giancarlo Bornigia, tra i soci del Piper, lamenta «la mancanza di linee guida per vedere la luce alla fine del tunnel».
I dipendenti - un centinaio tra amministrativi, tecnici manutentori e personale serale - sono quasi tutti in cassa integrazione, ma non hanno ancora ricevuto nulla. Tra marzo e settembre il figlio del fondatore dello storico club di via Tagliamento prevede perdite per 1 milione di euro.
Daniele Aprile, proprietario di Spazio 900 all’Eur (in media 110 eventi l’anno che danno lavoro a 150 persone) ha messo in conto un crollo del fatturato dell’80 per cento: «Per riaprire servono la riformulazione degli affitti e sovvenzioni a fondo perduto per almeno sei-dieci mesi. Chi è pronto a scommette per non veder morire la propria attività va incentivato».
Deborah De Angelis, avvocata, portavoce dell’associazione A-Dj, ha scritto due lettere al governo per chiedere l’estensione del Fondo di emergenza per lo spettacolo e del Fus (Fondo unico per lo spettacolo) ai dj che in Italia, da stime non ufficiali, sarebbero almeno 25 mila, 7-8 mila nel Lazio.
Rinvio «La data della riapertura slitta di continuo, dall’autunno ora siamo alla primavera 2021»
Stop generale Coinvolto anche l’indotto, dai fornitori ai vigilantes