«L’urna non tornerà al Verano Riporterò Elena a casa con me»
Parla Graziella Viviano. Il ladro condannato nel 2015 per aver rubato foto dalle lapidi
«Scherzando, dicevo a Elena che era come una bollicina di champagne: spinge sempre per uscire. Ecco, anche stavolta è andata così». La forza di Graziella Viviano è questa invincibile capacità di trovare un senso anche nelle disgrazie e trasformarlo in energia positiva per andare avanti. La morte in moto della figlia Elena Aubry due anni fa l’ha tradotta in una campagna permanente per la sicurezza stradale. Il furto della sua urna cineraria dal cimitero del Verano, un modo per riportarla a sé ora che è stata ritrovata: «Appena avrò il via libera, riporterò Elena a casa. La scelta di lasciarla al cimitero nasceva dal bisogno di una “distanza sentimentale” dalla sofferenza, non ero forse pronta a vederla di fronte a me tutti i giorni, anche se Elena non mi ha mai abbandonato. Ora che l’abbiamo ritrovata le ho detto scherzando: la prossima volta che vuoi uscire, avvertimi».
Il lieto fine di questo incubo che si era aggiunto a quello del lutto straziante per l’incidente sull’Ostiense, dovuto secondo la Procura all’asfalto mal tenuto, porta alla signora Graziella anche un conforto ulteriore. «Non potevo accettare che qualcuno le volesse male, non era comprensibile uno sfregio o una vendetta.
Sollievo
Sapere che è stato il gesto di uno squilibrato, da questo punto di vista, mi rasserena».
Il colpevole del furto ha un nome e cognome e un profilo psichico ben delineato dai suoi precedenti penali. Il ladro delle ceneri si chiama Marco C0nicchia, ha 49 anni e cinque anni fa era stato condannato a otto mesi per aver rubato (nel 2009) almeno quattro foto dalle lapidi del Verano. Come oggi con la centaura 25enne, anche allora in casa gli vennero trovate le foto delle sue «prede». Giovani e belle, come Elena. «Guardarle mi piace — disse Conicchia al processo —. Adoro ammirare i volti delle giovani donne morte. Dopo un po’, però, mi stufo, butto via le foto e vado a cercarne altre». Nel 2009 ne sparirono duecento. Alcune furono riportate, altre no. L’avvocato dell’epoca chiese per lui una perizia psichiatrica, che venne respinta. Stavolta aveva rubato anche le ceneri e l’accusa di cui dovrà rispondere è più grave: soppressione di cadavere.
L’urna, in buone condizioni, è stata ritrovata venerdì nella sua casa nel corso di una perquisizione. L’unica profanazione è stata la rimozione della targhetta con inciso il nome «Elena Aubry». Ed è sparito un diario con le dediche che era nel loculo. Interrogato dal pm Laura Condemi, il 49enne ha di fatto ripetuto quanto già ammesso in passato. Non un colpo mirato, dunque, né a scopo di ricatto o lucro come faceva pensare anche la coincidenza della scoperta (il 5 maggio) con la vigilia del secondo anniversario della morte, quanto piuttosto una forma di feticismo.
«Ringrazio i tanti, anche sconosciuti, che mi hanno aiuto a parole o materialmente nella ricerca — dice Graziella Viviano —. Elena torna a casa, ovviamente in moto».
Feticismo