Corriere della Sera (Roma)

Il 26 maggio di Cana «La prima volta resterà per sempre nostra»

- Di Marco Calabresi

E chi se lo scorda il 26 maggio? Lorik Cana non avrà bisogno del calendario. Quattro anni fa ha lasciato il calcio giocato, da qualche mese è tornato a vivere a Roma e in Albania ha creato una fondazione che porta il suo nome. «Abbiamo costruito campi da calcio e coinvolto migliaia di bambini - racconta -. Sono anche partner di un’azienda che sviluppa tecnologie e fornisco consulenza ad alcuni club. Il campo, però, mi manca».

Sette anni fa, una delle gioie più belle della sua vita.

«Vincere la Coppa Italia contro la Roma fu meraviglio­so. Mi ricordo la gioia dopo il fischio finale e lo sguardo che andò subito verso la mia famiglia, che era in Tribuna Tevere. Poi, ovviamente, la festa con i nostri tifosi».

Ci sarà mai un altro 26 maggio?

«Ci sono le rivincite e poi un’altra finale tra Roma e Lazio è difficile ma non impossibil­e. Però non ci sarà più una prima volta e noi saremo per sempre i primi».

Ha tenuto qualche ricordo di quella partita?

«La maglia. I magazzinie­ri ne avevano preparate tre, una per tempo e una per ricordo. Dopo la fine della mia carriera ho girato tanto, ma conservo

❞ Conservo la maglia della finale di Coppa Italia in cui battemmo la Roma: è stata una delle notti più belle della mia vita»

una maglia per ogni mia esperienza. Quella della Lazio è quella del 26 maggio».

Ricorda i giorni precedenti la finale?

«Eravamo in ritiro a Norcia. Non so chi tra la società, Igli (Tare, ndr) o Petkovic decise di andare lì, ma la squadra fu subito d’accordo. Fu un ritiro tranquillo, dal martedì al venerdì: il sabato, invece, mangiammo con le famiglie a Formello. Vedevo un ambiente carico, ma tranquillo».

Da centrocamp­ista era passato a fare il difensore centrale. La Roma creò poco...

«Rischiammo giusto un paio di volte, la difesa fece un

partitone. Avevamo chiuso la porta a chiave. Io, Konko, Biava e Radu avevamo un’esperienza enorme. Stefan era il più teso, ma giocò una partita molto intelligen­te. Beppe, invece, fu strepitoso».

In Europa ci sono derby sentiti come quello di Roma?

«Quello di Istanbul è ancora più particolar­e, più simile a quelli argentini. A Roma mi è dispiaciut­o perdere quello successivo, nel settembre 2013: i laziali entrarono orgogliosa­mente in curva dopo qualche minuto, ma avrei preferito un ambiente più carico; in campo avremmo voluto dare il colpo di grazia».

Il compagno più forte? «Klose, Hernanes e Felipe Anderson. Quando partiva in velocità palla al piede era devastante».

Sono rimasti Radu, Lulic e Strakosha, albanese come lei. Si aspettava potesse fare questa strada?

«Nel 2013 era un ragazzino, ed è difficile passare direttamen­te dalla Primavera alla prima squadra. Io lo feci in un PSG di mostri, con Ronaldinho e Pochettino. Thomas, tornato da Salerno, non doveva neanche rimanere, ma si è fatto trovare pronto. Ho giocato con il papà, sono amico di Thomas e orgoglioso di quello che sta facendo».

I tifosi possono sognare una festa da scudetto simile al 26 maggio?

«Perché no? La difesa ha fatto il salto di qualità e ho visto un cambio di mentalità. La Lazio deve crederci».

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