Video, danza, parola «Fuori posto», il festival è online
Storie nate dalla collaborazione con familiari e associazioni vicine al mondo della disabilità
Parte domani l’ottava edizione di «Fuori Posto», altrimenti detto Festival di Teatri al limite, che coinvolge disabilità e assistenza in una narrazione oltre i luoghi comuni. Ideato e diretto da Emilia Martinelli, giocato sui registri di spettacoli, performance e installazioni, il Festival era in programma per marzo nella suggestiva Sala Alessandrina dell’Ospedale Santo Spirito. Ma ora, raccolta la sfida del confinamento — che non è altro che una sorta di disabilità collettiva — si è trasformato in un museo virtuale visitabile a questo indirizzo: www.festivalfuoriposto.org
Videoproiezioni, video mapping, teatro, danza, fotografia sono risultati di un lavoro svolto nell’arco di diversi mesi in complicità tra tecnici e artisti insieme agli utenti dei servizi di prossimità del Municipio I di Roma e ai loro familiari, le cui storie sono state raccolte in più di venti interviste.
«Ogni parola ed esperienza ci hanno lasciato il segno e questo segno lo abbiamo trasferito in un’opera, un’installazione, una performance, una pubblicazione, fino all’attimo prima di andare in scena, programmato per marzo 2020 — afferma la direttrice artistica Emilia Martinelli — Da lì tutto è cambiato, ogni cosa si è congelata, tranne il sole della primavera. A questo impulso, abbiamo reagito con quello che ci viene meglio: rimettere tutto in discussione, tutto fuori posto».
Non più i mercati, i musei, le piazze e i parchi, che nelle edizioni passate erano stati i luoghi in cui il Festival incontrava la città invitandola a guardare alla disabilità con occhi nuovi. Bensì lo spazio virtuale. «Anche oggi siamo fuori posto — aggiunge Martinelli — siamo online. In questo spazio sospeso, ma prossimo al pubblico, possiamo narrare le storie delle persone che abbiamo intervistato. Sono state la nostra aria fuori dalla finestra, abbiamo condiviso la stessa urgenza di uscire».
Diciannove le opere in mostra, realizzate con tecnologie e discipline diverse: la grafica o la danza, la scrittura o la videoarte, ma spesso senza mostrare il corpo dei protagonisti, raccontando piuttosto la loro condizione in un gioco di rifrazioni, o ancora attraverso la testimonianza delle persone loro vicine, siano operatori o familiari. Molti dei protagonisti incontrati nel corso di diverse residenze artistiche realizzate in tempi pre-covid presso le associazioni, hanno preferito usare nomi di fantasia o restare anonimi. Uno di questi, rivolgendosi al pubblico, dice: «Fatevi trasportare dagli sguardi che non sanno dove mettersi, che hanno voglia d’incontrare e di capire».