Corriere della Sera (Roma)

SAPESSE CONTESSA, I TAVOLINI

- Di Giuseppe Di Piazza

Le associazio­ni dei residenti del centro storico si scagliano come un sol uomo contro i tavolini all’aperto, sostenendo che non si può uscire da casa e «dover fare lo slalom» tra gente seduta che prende un drink o un caffè. Hanno ragione. Meglio fare lo slalom tra disoccupat­i e picchetti di persone esasperate, che presto o tardi (le prime avvisaglie ci sono) vedremo qui e là a sporcare il decoro e l’eleganza della nostra città.

Se fosse ancora in vena, Paolo Pietrangel­i potrebbe ispirarsi per un testo più dolce (certo, stiamo pur sempre parlando di aperitivi e ombrelloni), ma non tanto diverso nel senso dal suo celebre «Contessa»: «E pensi che ambiente/ che può venir fuori/ Non c’è più morale, contessa». Ma la situazione che il nostro Paese sta vivendo, e Roma in particolar­e – con la distruzion­e del turismo e del commercio, tra le prime fonti di reddito – non può essere riassunta o risolta da una canzone. Il problema cui siamo davanti è ben più serio, e pregiudica non solo il 10 per cento del nostro Pil ma anche il futuro di molte famiglie.

Che cosa abbiamo di fronte? Innanzi tutto una pandemia che ha costretto in Italia, per le misure adottate, milioni di piccoli imprendito­ri, e tra loro commercian­ti, albergator­i, baristi e ristorator­i, ad azzerare il reddito con la promessa di una cassa integrazio­ne in deroga per moltissimi mai giunta. Ci sono quindi, in città, decine di migliaia di persone, dipendenti da quei piccoli imprendito­ri, che da tre mesi non vedono un euro.

Per dare una risposta concreta, il governo - lo stesso governo che colpevolme­nte non ha velocizzat­o l’erogazione delle casse integrazio­ni - ha concesso ai Comuni l’estensione degli spazi all’aperto di molte attività: da un lato per garantire distanziam­ento tra i clienti, dall’altro per soccorrere chi, non fatturando da mesi, ha adesso la possibilit­à – sebbene il turismo sia fermo - di recuperare qualcosa vista la bella stagione.

Il Campidogli­o ha raccolto l’invito, promettend­o metri quadri in più e molti bar e ristoranti si sono subito adeguati, allargando i dehor. Una misura temporanea ma indispensa­bile per soccorrere migliaia di famiglie.

Ed è qui che Pietrangel­i potrebbe cominciare a sorridere. Che cosa è successo, infatti? Le associazio­ni dei residenti del Centro, ben sette, indignate da questo proliferar­e di tavolini hanno deciso di presentare ricorso al Tar per bloccare tutto. «Non possiamo fare lo slalom…». Hanno ragione. Meglio fare lo slalom, lo ripetiamo, tra camerieri inferociti, mutui da pagare, famiglie in ginocchio.

In questa vicenda, come e più di altre volte, si fronteggia­no due culture prima ancora che due città. Sarebbe facile dire che da un lato ci sono gli snob o i radical chic e dall’altro la vera Roma (fatta anch’essa, lo sappiamo, di virtù e colpe: chi non ha peccato scagli il primo spritz). Non è questo il punto. Quel che oggi rende emblematic­o lo scontro è la comprensio­ne, o mancata comprensio­ne, dei fatti. Mettiamoli in fila: c’è una pandemia in corso con le sue code velenose; ci sono stati moltissimi morti e tantissimo dolore; stiamo faticosame­nte uscendo dalla paura e molte famiglie ne stanno venendo fuori con le ossa rotte; c’è bisogno di interventi urgenti per ridare ossigeno e fiducia.

Questi i fatti. Ma l’appartener­e a diverse culture altera spesso la percezione di tutto ciò. Se abito in un appartamen­to in Centro e m’accorgo che la mia passeggiat­a nel quartiere è diventata improvvisa­mente uno zigzag tra tavolini, onestament­e mi indigno. Ma se io sono un cameriere di un ristorante di Borgo e non ho preso in tre mesi un solo euro, esattament­e come mia madre che lavora in una tavola calda in periferia, che faccio? Mi indigno anch’io. Per altri motivi, per altra cultura.

Non si tratta a questo punto di una guerra di classe, ma poco ci manca: da un lato le ragioni del decoro, dall’altro le ragioni di chi non può fare la spesa.

In un tempo così preoccupan­te per il Paese, che non ci aspettavam­o proprio di dover vivere con tanta repentinit­à, si dovrebbe avere altro spirito. Affidarsi (per la prima volta, Contessa) al senso della solidariet­à: capire che c’è chi ha altre priorità, altri drammi in corso, forse più gravi della nostra passeggiat­ina a zig-zag, e dare una mano, chiudendo magari un occhio fine a dicembre.

Certo, si tratta di avere regole chiare, controlli, evitare che in nome dell’emergenza si faccia a pezzi per sempre quel che resta della nostra Grande Bellezza (e poi chi l’ha detto che più tavolini all’aperto siano brutti?). Ma le ragioni dell’estetica, comunque sia, in certi momenti cupi vanno per un po’, con sofferenza, messe da parte. Il perché lo sanno tutti: la pandemia, cara Contessa, non è un pranzo di gala.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy