«Sì, quella sera in auto andavo veloce»
Il ragazzo che ha travolto e ucciso Mattia sulle strisce all’Infernetto davanti al giudice
«Andavo veloce, ma non mi faccio canne». Si è difeso così Federico Costantino, 22 anni, accusato di aver travolto e ucciso sulle strisce pedonali il 14enne Mattia Roperto, davanti al giudice per le indagini preliminari Livio Sabatini, che lo ha interrogato ieri. Il ragazzo, oltre ad aver escluso di aver fumato hashish o marijuana, ha anche negato con decisione che stesse usando il cellulare al momento del terribile incidente in via Francesco Cilea, all'Infernetto.
Già il primo grado aveva ritenuto che esistessero due associazioni «semplici»
«Volendo ricorrere a una metafora, può dirsi che una parte del “palazzo” non è stata conquistata dall’esterno, dalla criminalità mafiosa, ma si è consapevolmente consegnata agli interessi del gruppo che faceva capo a Buzzi e Carminati, un gruppo criminale che ha trovato terreno fertile da coltivare». È uno dei passaggi della motivazione della sentenza sul Mondo di mezzo, ora depositata dalla Cassazione. In 379 pagine di provvedimento i giudici riassumono le ragioni per cui hanno cancellato l’ipotesi di un clan mafioso a Roma. Trionfa la prospettazione già espressa in primo grado dalla giudice Rosaria Ianniello, secondo la quale l’assenza di armi e di una vera potenza intimidatrice da parte del gruppo faceva propendere verso due distinte associazioni a delinquere finalizzate alle estorsioni (Massimo Carminati) e alla corruzione (Salvatore Buzzi).
La Cassazione critica il metodo seguito da quei colleghi che, in secondo grado, avevano affermato l’esistenza di una mafia romana, peculiare ma dotata di un potere di intimidazione e di una riserva di violenza pari alle cosche tradizionali. Quel ragionamento, dicono in estrema sintesi gli ermellini, era appiattito sulle prime evidenze investigative e sulla confercommilitoni ma delle misure cautelari da parte della stessa Cassazione all’epoca in cui furono valutati i singoli ricorsi. Mentre si sarebbe dovuto giudicare sulla realtà processuale che in primo grado smentiva l’esistenza di una singola associazione mafiosa per diversi motivi, fra i quali l’insussistenza di rapporti fra la pretesa mafia nostrana e le realtà storiche radicate. Scrivono
oggi i togati di piazza Cavour: «È di palmare evidenza che non solo non risulta la disponibilità di armi ma neanche sono state dimostrate nel giudizio le strette relazioni con altri gruppi mafiosi».
La sesta sezione penale della Cassazione arriva così a ridimensionare il potere e la discrezionalità di Carminati: «Nessun ruolo era gestito da Carminati con settori finanziari, servizi segreti o altro. La gestione delle relazioni con gli amministratori (fra i quali l’allora sindaco Gianni Alemanno, ndr) era compito quasi esclusivo di Buzzi, avendo Carminati relazioni determinanti solo con ex
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La gestione delle relazioni con gli amministratori era compito quasi esclusivo di Buzzi
nella medesima area politica di estrema destra». Come dire che benché autorevole sotto il profilo criminale, Carminati non era influente a tal punto da tenere in scacco in prima persona l’amministrazione comunale.
Sulle argomentazioni della Cassazione intervengono i difensori degli imputati. E in particolare l’avvocato di Carminati, Cesare Placanica: «La vera lezione, per tutti, inclusa l’opinione pubblica, è di non considerare oro colato le ordinanze cautelari perché spesso, come in questo caso, sono smentite dai processi».