«Maggio ‘43» di Davide Enia all’Argentina
Davide Enia all’Argentina con «Maggio ’43»
Il 9 maggio del 1943 era una domenica. Quel giorno gli Alleati decisero per un bombardamento a tappeto su Palermo: oltre millecinquecento morti in meno di venti minuti. Una pagina della nostra Storia che Davide Enia, drammaturgo, attore e romanziere palermitano, porta in scena al Teatro Argentina questa sera.
Maggio ’43 è uno spettacolo per voce e musica - composta e suonata da Giulio Barocchieri dove le testimonianze dei superstiti della strage sono elaborate in una drammaturgia corale, sebbene eseguita da Enia solista, che riporta a un tempo fatto di atrocità, cinismo, fame di vita, fatalismo e che in qualche modo parla del nostro presente. Dopo la sospensione della data prevista a luglio, lo spettacolo arriva a Roma in unica data.
❞ Il conflitto colpisce sempre gli innocenti e i cittadini. Qui si apre la logica della tragedia e la domanda: Quale colpa ha la persona che si trova nella città bombardata?
Che valore ha per lei il ritorno in scena?
«Grande. Le prime repliche dopo il lockdown sono state al
Piccolo di Milano. Ora sono felice di essere all’Argentina. È stato interessante trovarsi di fronte alla parcellizzazione del pubblico. Per nostra fortuna eravamo abituati alle sale piene, ora davanti a noi c’è come lo scomporsi di un mosaico».
Maggio ’43 rievoca una storia lontana più di settant’anni. Crede sia già il tempo di raccontare la pandemia?
«Probabilmente uno dei messaggi più efficaci sull’esperienza che abbiamo vissuto ce la darà la danza, che tra tutti i settori dello spettacolo sta soffrendo di più. Il corpo dei danzatori restituirà ferite diramate e profonde».
Lei si sente pronto ad elaborare questo vissuto?
«Io non ho capito ancora bene come funziono. Di solito trovo un narrativo e mi ci inserisco. Posso dire che rispetto a questi mesi ho visto una similitudine con la Palermo delle bombe di mafia del 1992, quando la città era segnata da crateri».
Altre bombe su Palermo sono quelle lanciate nel ’43 per preparare lo sbarco degli Alleati. Che differenza c’è?
«Il conflitto colpisce sempre gli innocenti e i cittadini. Qui si apre la logica della tragedia e la domanda: Quale colpa ha la persona che si trova nella città bombardata? E’ la funzione simbolica dei sacrifici, il ruolo della colpa e della vittima innocente che apre al senso della tragedia».
Anche ne L’Abisso, vincitore dell’Ubu 2019 come miglior nuovo testo italiano racconta una strage, quella dei migranti nel Mediterraneo. Oggi, quale abisso dobbiamo guadare?
«Recuperare ciò di cui siamo stati privati: la relazione con l’altro».
Il suo teatro di narrazione è un teatro agile, che può muoversi e tornare in scena prima degli altri.
«La considero una nicchia di privilegio che non mi fa dimenticare i colleghi penalizzati da un protocollo intransigente. Molte realtà scompariranno se non cambia qualcosa».
Sta lavorando a qualcosa di nuovo?
«Per la gioia del mio editore - Sellerio - sto scrivendo. È un romanzo che fronteggia il male su un arco di cinquant’anni cercando di capire il meccanismo del potere per scomporlo».
Per descrivere questi anni quali parole userebbe?
«Trauma e lager. Quest’ultima ancora di più dopo l’accordo siglato dal governo con la Libia pochi mesi fa».