Berrettini: «Gioco male» Ma poi strapazza Coria
Internazionali, vittoria in due set: «All’inizio ero disorientato»
Ore 11: sul Centrale entra in campo Matteo Berrettini. Non c’è la musica, non c’è lo speaker, non c’è il tabellone luminoso che spara la foto, non c’è il pubblico. Al massimo qualche spot pubblicitario durante i cambi di campo. In tv si sentono gli applausi, ma è un effetto: dal vivo, il silenzio è spettrale che non ci si abituerà mai. In un impianto che, al massimo della capienza, può contenere 10.500 persone, ce ne saranno al massimo una cinquantina.
C’è ovviamente la fidanzata Ajla; c’è Lorenzo Musetti, che la sera prima sullo stesso campo ha fatto girare la testa a Wawrinka; in più, pochi giornalisti, qualche componente degli staff di qualche giocatore, alcuni addetti dell’organizzazione, e ovviamente Vincenzo. Perché Santopadre, prima di essere l’allenatore di Berrettini, è Vincenzo, un amico: accanto a lui, Umberto Rianna, responsabile del progetto Over 18 della Federtennis. Concentratissimi come Matteo, e consapevolmente gli unici a potergli dare la carica a cui di solito pensa il pubblico. Dall’altra parte delle tribune, Corrado Barazzutti, Diego Nargiso e Tathiana Garbin.
Si sente tutto: è un’esperienza unica, quasi mistica. Osservare in silenzio il numero 8 del mondo a casa sua è uno strano privilegio che vale la pena raccontare. Dall’altra parte della rete c’è un argentino dal cognome importante: Coria, perché Federico è il fratello di Guillermo, che qui 15 anni fa raggiunse la finale contro Rafa Nadal. A ogni punto, Vincenzo e Umberto chiamano Matteo in un modo diverso. Un momento è «Matte», poi diventa «Met», poi diventa «Bello»: incrociano gli occhi con quelli del ragazzo che sta diventando un gigante. Ma in campo le cose non vanno a meraviglia, tanto che Matteo - bravo a tenersi dentro qualsiasi imprecazione «anche perché ci sono microfoni ovunque», dirà - pronuncia una frase in un set. «Ragazzi, come sto giocando male».
«Dai, la prossima», gli dice Santopadre quando Matteo fallisce una palla break. Qualche minuto dopo si scioglie e caccia fuori un ruggito di rabbia: dal 5-5 nel primo set, diventa un’altra partita. «Super». «Grandissimo». «Alé». Gli sguardi si incrociano: è iniziata la discesa. Il secondo set va via senza problemi: Berrettini chiude 7-5 6-1. Saluta Coria, saluta l’arbitro e poi prende il pennarello per l’autografo sulla telecamera: «Ciao Vo’», scrive. «Per mia nonna, che è brasiliana e non so se è riuscita a vedere la partita. La chiamerò per chiederglielo». Gli chiediamo cosa ha significato per lui questa partita: «All’inizio ero un po’ disorientato, poi ho capito che era la normalità. Il pubblico ti mette pressione, ma soprattutto ti carica: quando fai un punto e ti applaude una persona sola è triste...».
Il campione romano
«Per mia nonna Vo’ la dedica a fine match. Essere applauditi da una persona sola in tutto lo stadio è triste, ma ho capito che questa adesso è la normalità»
Accaldato
Matteo Berrettini, 24 anni, durante un pausa del cambio campo ieri mattina al Centrale del Foro Italico nel match contro l’argentino Coria