Tamponi, ospedali sotto stress
Finiti al Santa Maria della Pietà, altrove risposte dopo sette giorni. E file lunghissime per i test
File di ore in auto in tutti i drive-in capitolini, tamponi esauriti (come al Santa Maria della Pietà) e tempi lunghissimi di attesa per il responso dei test. Il sistema sanitario del Lazio comincia ad accusare i primi colpi dell’arrivo della seconda ondata di contagi da coronavirus. Nonostante il dispiegamento di forze negli ospedali. Dice Bartoletti (medici di base): «Mancano i kit, siamo soldati senza fucili». A singhiozzo l’apporto dei laboratori privati.
Fino a otto ore per sottoporsi al tampone e poi sette giorni col fiato sospeso per il responso. La «macchina dello screening» del Covid si sta inceppando nel Lazio, ingolfata dalla valanga di test che viaggiano in media sulle diecimila unità quotidiane.
Sono intasate le trenta postazioni drive-in tra la Capitale e le province, interminabili le code di auto che in questi giorni stanno paralizzando interi quadranti di Roma. Un caos di lamiere e proteste ieri fuori dal Santa Maria della Pietà, tanto che sono dovute intervenire quattro pattuglie dei vigili: erano cinque i chilometri di fila intorno al presidio sulla Trionfale e, dopo quattro ore di attesa sotto la pioggia, alle 13 la tegola: i test sono esauriti, il drive-in chiude in anticipo.
Stesse scene al Forlanini, serpentone di veicoli e in centinaia bloccati per mezza giornata. Impraticabile anche la via Tiburtina, tutti incolonnati per entrare al Car, il Centro Agroalimentare Roma di Guidonia trasformato in drive-in dalla Asl Roma 5.
«Il sistema è in sofferenza» conferma Pier Luigi Bartoletti, coordinatore delle squadre Uscar, medici e infermieri al lavoro sulla campagna di tracciamento dei positivi, che utilizza un paragone efficace per far comprendere il «guasto» del dispositivo. «Abbiamo i soldati ma non i fucili», spiega il medico: in sintesi l’esercito di dottori volontari è sufficiente anche se stremato, ma mancano i kit-test, specialmente quelli rapidi usati negli scali romani. Servono con urgenza almeno altri venti apparecchi Poct (acronimo per point of care), attrezzature per medicina di prossimità: il bando è già in corso, ma le criticità aumentano ogni giorno anche per il fronte della riapertura delle scuole. «Mettiamo di avere un bambino positivo, quindi test per lui e altri cinque per la famiglia. Moltiplicate per tutta la classe e docenti», riassume ancora Bartoletti.
Ma non c’è solo l’odissea del tampone. I laboratori sono allo stremo, raddoppiati quindi i tempi di risposta, passati dalle 48-72 ore di un mese fa, ai 5-7 giorni odierni, con il rischio a breve di arrivare a dieci. Un ritardo che incide nella vita dei possibili in
Il bando c’è Servono con urgenza almeno altri venti apparecchi per le «cure di prossimità»
fetti e sulla tracciabilità dei contagi. C’è una possibile soluzione, già avanzata da tempo proprio da Bartoletti, come segretario romano della Fimmg (Federazione italiana dei medici di medicina generale): far fare i test anche a medici e pediatri di base, estendere quindi la rete di screening e così alleggerire il testing su strada. La Regione Lazio ha approvato il progetto, gara al via prima del 20 ottobre. Intanto, raddoppia la rete dei drive-in, arriveremo a 17mila tamponi al giorno» annuncia l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, che ricorda l’altra strada per i test, quella dei laboratori privati che, seppur a singhiozzo, possono eseguire i controlli al prezzo concordato di 22 euro. Costo «non sostenibile perché il mercato e i fornitori non sono pronti», polemizza però Luca Marino, vicepresidente di Unindustria. «Un macchinario ci costa anche ventimila euro e a noi ogni tampone viene 15 euro. – sostiene – Chiediamo alla Regione di adottare non il metodo semi-quantitativo, ma qualitativo che offre risultati altrettanto affidabili e che i fornitori possono offrire a un prezzo accettabile e in grandi quantità».
L’allarme Bartoletti (medici di famiglia): «Mancano i kit-test, cioè siamo senza armi»