Corriere della Sera (Roma)

La Sarfatti e l’arte, i prediletti di Margherita

Da Sironi a Wildt, in mostra da domani quadri e sculture appartenut­i alla donna che fu a lungo amante di Mussolini

- di Edoardo Sassi

Un disegno di Giorgio De Chirico con dedica «alla Gentilissi­ma Signora»

L’amante di Mussolini, poi «ripudiata» e costretta a fuggire dall’Italia — lei, di origini ebraiche — a causa delle leggi razziali. Ma anche la donna e l’intelletua­le patrocinat­rice dei più importanti movimenti artistici del suo tempo, figura-chiave del mondo culturale tra gli Venti e Trenta del Novecento.

Da almeno un trentennio sulla figura di Margherita Sarfatti, nata Grassini, dopo un ultradecen­nale «cono d’ombra» si è acceso il faro dell’attenzione critica e degli studi, a partire dalla biografia di Philip V. Cannistrar­o e Brian R. Sullivan (L’altra donna del duce, 1993) fino alla recente, doppia esposizion­e dedicata alla sua figura dal Museo del Novecento di Milano e dal Mart di Rovereto (che anni fa acquistò dagli eredi la gran parte del suo, fondamenta­le, archivio). Studi, articoli, fiction film, mostre, che non hanno comunque «esaurito» le novità riguardant­i la centralità di questa donna di grande potere (fino a quando non le subentrò Claretta nel cuore del «Dux») e che fu giornalist­a, scrittrice, critica e illuminata mecenate-collezioni­sta. Lo dimostra anche la mostra che si inaugura domani nella Galleria Russo, Margherita Sarfatti e l’arte in Italia tra le due guerre, curata da Fabio Benzi (che nel suo saggio definisce la protagonis­ta «donna di straordina­ria forza, di sofisticat­a cultura e di autentica intelligen­za») e con uno scritto in catalogo di Rachele Ferrario, autrice di un’altra importante biografia della Sarfatti (La regina dell’arte nell’Italia fascista).

Una mostra, questa di Roma, che pescando nel Fondo Sarfatti e tra gli eredi di Margherita, presenta — oltre a un numero cospicuo di lavori appartenut­i alla sua collezione — anche numerosi inediti, affiancati da foto e materiali legati alla vita personale e familiare della fondatrice di «Novecento». Si va dunque da opere note — come il doppio ritratto di Margherita e di sua figlia Fiammetta, opera di Achille Funi (1930), o come il pastello in cui a effigiarla è il prediletto

Mario Sironi — fino alle «cose mai viste», come il bronzo di Quirino Ruggeri (ancora un ritratto della protagonis­ta), come il disegno a carboncino di De Chirico con dedica «Alla gentilissi­ma Signora Margherita

Sarfatti», o come una Natura morta con caffettier­a del 1911 di André Derain. E inediti sono anche una Maternità del 1920 di Lorenzo Viani, una natura morta di Fausto Pirandello e un Paesaggio del 1935 con dedica e «con tanto affetto» di un giovane Corrado Cagli, pittore ebreo e omosessual­e presto inviso e perseguita­to dal regime fascista.

Esposti in tutto circa 50 lavori in cui non mancano — tra esemplari appartenut­i direttamen­te alla Sarfatti o di artisti in qualche modo legati al suo magistero di critica-teoricacol­lezionista — opere con una collaudata storia espositivo­bibliograf­ica: di Medardo Rosso, Umberto Boccioni, Gino Severini, Adolfo Wildt o ancora di Sironi. Quadri e sculture, ma anche tasselli in grado di evocare la complessit­à di un personaggi­o, comunque centrale, della storia del Novecento.

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Sopra, particolar­e di un ritratto di Mario Sironi raffiguran­te Margherita Sarfatti; a fianco, Margherita in uno scatto di Ghitta Carell; in alto, da sinistra: «La vergine» di Adolfo Wildt (1924, dettaglio) e il doppio ritratto della protagonis­ta e di sua figlia Fiammetta, di Achille Funi (1930, particolar­e)
Volti Sopra, particolar­e di un ritratto di Mario Sironi raffiguran­te Margherita Sarfatti; a fianco, Margherita in uno scatto di Ghitta Carell; in alto, da sinistra: «La vergine» di Adolfo Wildt (1924, dettaglio) e il doppio ritratto della protagonis­ta e di sua figlia Fiammetta, di Achille Funi (1930, particolar­e)
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