La Sarfatti e l’arte, i prediletti di Margherita
Da Sironi a Wildt, in mostra da domani quadri e sculture appartenuti alla donna che fu a lungo amante di Mussolini
Un disegno di Giorgio De Chirico con dedica «alla Gentilissima Signora»
L’amante di Mussolini, poi «ripudiata» e costretta a fuggire dall’Italia — lei, di origini ebraiche — a causa delle leggi razziali. Ma anche la donna e l’intelletuale patrocinatrice dei più importanti movimenti artistici del suo tempo, figura-chiave del mondo culturale tra gli Venti e Trenta del Novecento.
Da almeno un trentennio sulla figura di Margherita Sarfatti, nata Grassini, dopo un ultradecennale «cono d’ombra» si è acceso il faro dell’attenzione critica e degli studi, a partire dalla biografia di Philip V. Cannistraro e Brian R. Sullivan (L’altra donna del duce, 1993) fino alla recente, doppia esposizione dedicata alla sua figura dal Museo del Novecento di Milano e dal Mart di Rovereto (che anni fa acquistò dagli eredi la gran parte del suo, fondamentale, archivio). Studi, articoli, fiction film, mostre, che non hanno comunque «esaurito» le novità riguardanti la centralità di questa donna di grande potere (fino a quando non le subentrò Claretta nel cuore del «Dux») e che fu giornalista, scrittrice, critica e illuminata mecenate-collezionista. Lo dimostra anche la mostra che si inaugura domani nella Galleria Russo, Margherita Sarfatti e l’arte in Italia tra le due guerre, curata da Fabio Benzi (che nel suo saggio definisce la protagonista «donna di straordinaria forza, di sofisticata cultura e di autentica intelligenza») e con uno scritto in catalogo di Rachele Ferrario, autrice di un’altra importante biografia della Sarfatti (La regina dell’arte nell’Italia fascista).
Una mostra, questa di Roma, che pescando nel Fondo Sarfatti e tra gli eredi di Margherita, presenta — oltre a un numero cospicuo di lavori appartenuti alla sua collezione — anche numerosi inediti, affiancati da foto e materiali legati alla vita personale e familiare della fondatrice di «Novecento». Si va dunque da opere note — come il doppio ritratto di Margherita e di sua figlia Fiammetta, opera di Achille Funi (1930), o come il pastello in cui a effigiarla è il prediletto
Mario Sironi — fino alle «cose mai viste», come il bronzo di Quirino Ruggeri (ancora un ritratto della protagonista), come il disegno a carboncino di De Chirico con dedica «Alla gentilissima Signora Margherita
Sarfatti», o come una Natura morta con caffettiera del 1911 di André Derain. E inediti sono anche una Maternità del 1920 di Lorenzo Viani, una natura morta di Fausto Pirandello e un Paesaggio del 1935 con dedica e «con tanto affetto» di un giovane Corrado Cagli, pittore ebreo e omosessuale presto inviso e perseguitato dal regime fascista.
Esposti in tutto circa 50 lavori in cui non mancano — tra esemplari appartenuti direttamente alla Sarfatti o di artisti in qualche modo legati al suo magistero di critica-teoricacollezionista — opere con una collaudata storia espositivobibliografica: di Medardo Rosso, Umberto Boccioni, Gino Severini, Adolfo Wildt o ancora di Sironi. Quadri e sculture, ma anche tasselli in grado di evocare la complessità di un personaggio, comunque centrale, della storia del Novecento.