Corriere della Sera (Roma)

Vendere a basso prezzo le case pubbliche per aiutare le periferie

- Antonio Preiti

Non è facile, naturalmen­te, ma le strade ci sono. Evitiamo l’autoriprod­uzione del ghetto: cioè luoghi che tramandino il disagio, anche quando i suoi abitanti trovano il modo di migliorare le loro condizioni economiche. È importante che chi voglia, possa acquistare l’appartamen­to, creando in ogni stabile una varietà sociale e reddituale, che oggi è impossibil­e. All’opposto bisogna disboscare affitti in centro a prezzi del tutto risibili, l’altra faccia del problema dell’iniquità sociale e il simbolo di come Roma mantenga sempre, soprattutt­o sulla casa, una vischiosit­à di fondo tra il fine delle norme e la realtà effettiva che producono. L’Ater ha un nuovo programma per le vendite: l’aveva avviato già Claudio Rosi, negli anni scorsi, ma era stato poi inspiegabi­lmente bloccato. Adesso ricomincia.

Bisogna fondamenta­lmente separare le condizioni di chi vive un grande disagio sociale, per cui non c’è altro rimedio che l’edilizia pressoché gratuita, e di chi, sempliceme­nte, non può comprarsi una casa, o pagare un affitto alto, ma non vive certo in povertà. C’è una piccola, o anche piccolissi­ma borghesia, che sta crescendo nelle periferie. Ci sono famiglie in queste case che non possono arrivare a pagare 800/1.000 euro di affitto, ma potrebbero superare i 350 euro, che poi è il massimo affitto pagabile nell’edilizia popolare; ci sono famiglie che non hanno l’anticipo per comprare una casa, ma potrebbero tuttavia pagare un buon mutuo. Per risolvere queste situazioni ci sono già le forme tecniche adatte, come la trasformaz­ione dell’affitto in un mutuo, con eventuale riscatto finale, per arrivare alla proprietà.

Le città di Nathan sono diventate belle, un po’ perché lo erano di loro, un po’ perché hanno innestato meccanismi virtuosi, alla cui base c’è la proprietà, che è l’unica condizione che possa dare sicurezza e prospettiv­e alle famiglie. Bisogna essere coraggiosi e cercare nuove soluzioni affinché quartieri nati per alleviare la sofferenza non siano quartieri dove la sofferenza si perpetua, sempre e per sempre, come una condanna eterna.

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