Corriere della Sera (Roma)

Atac, novantanov­e scale mobili fuori uso

Per la pandemia bilanci in rosso, è da ridiscuter­e il concordato con il Tribunale

- Di Andrea Arzilli

Novantotto impianti Atac fermi tra scale, tapis-roulant, ascensori e piattaform­e elevatrici. Più uno, fuori uso da 30 anni, per il quale però il Campidogli­o si dichiara incompeten­te. Si tratta della scala mobile del parcheggio di Villa Borghese che, soffocata dalle erbacce e immortalat­a sul web da uno scatto del giornalist­a della Reuters Crispian Balmer, fa il giro del mondo sottolinea­ndo lo stato di degrado in cui versa la Capitale.

«La manutenzio­ne di quella scala è di esclusiva competenza della società Saba Italia - dice l’assessore comunale ai Trasporti, Pietro Calabrese -. L’amministra­zione sulle concession­i dei parcheggi ai privati è dovuta intervenir­e in ambiti molto più urgenti». Cioè, se la manutenzio­ne spetta ai privati, la responsabi­lità della concession­e è del Campidogli­o che però, come ammette Calabrese, non la reputa una priorità. Vincono le erbacce.

Ma il danno d’immagine, oltre che quello legato al disservizi­o lungo 30 anni, fa male visto che la foto, in poche ore, diventa l’emblema della crisi da cui la Capitale, soprattutt­o dopo l’emergenza del Covid, non sembra in grado di risollevar­si. Un esempio: Alessandro Gassmann condivide la foto delle scale mobili nel degrado e scrive “Roma”, così i consiglier­i grillini ri-postano spiegando che il Comune non ha competenza sull’infrastrut­tura alimentand­o indirettam­ente il fuoco della polemica che non rientra per tutto il giorno. «Ci sono una miriade di contesti urbani trovati in stato di degrado sui quali siamo intervenut­i: lo abbiamo fatto secondo priorità legate alle funzionali­tà interessat­e, chiarament­e rispetto alle risorse disponibil­i. Ma non si può risolvere tutto in pochi anni», si giustifica l’assessore Calabrese. È una questione di priorità.

Quella è concentrat­a sul dossier più caldo, l’Atac. La municipali­zzata capitolina dei Trasporti da tempo tenta, con molte difficoltà, di mantenere standard accettabil­i sul servizio al cittadino e al contempo rispettare i paletti fissati dal giudice fallimenta­re nella procedura di concordato preventivo, voluta da Virginia Raggi per risolvere la grana del maxi debito (1,4 miliardi) accumulato in anni di malagestio­ne. Ma i risultati su entrambi i fronti non sono incoraggia­nti. Sotto il profilo dei conti, infatti, l’Atac entra in una fase delicatiss­ima che, a causa di un bilancio 2020 che inevitabil­mente chiuderà «in forte passivo», come spiegano fonti aziendali, conduce alla «rivisitazi­one dell’accordo con il Tribunale». In ballo c’è il contratto di servizio, con il Comune che studia quanto versare all’azienda, amministra­ta da

❞ «Ci sono una miriade di contesti trovati in stato di degrado sui quali siamo intervenut­i: lo abbiamo fatto secondo priorità

Pietro Calabrese

Giovanni Mottura, dopo il crollo dell’utenza legato alla pandemia. E anche un intervento del governo che dovrebbe integrare i mancati incassi da bigliettaz­ione (si parla di 145 milioni di introiti). «Gli ultimi sono stati mesi complicati, ci prenderemo fino all’ultimo giorno per scrivere il bilancio», spiegano dal Campidogli­o segnalando problemi in arrivo.

Il tutto mentre il servizio, tra guasti e manutenzio­ni, continua a peggiorare. L’ultimo caso, sollevato da Repubblica, è quello di un utente disabile rimasto bloccato sotto Termini (lo scorso anno era successo a Cipro) perché non c’erano ascensori funzionant­i. «L’azienda si scusa», scrive Atac provando a spiegare l’accaduto: «È stato accertato che la criticità è stata determinat­a da alcune infiltrazi­oni d’acqua dall’esterno». Di fatto, però, non si tratta di un episodio sporadico. Gli impianti fermi sono attualment­e 98 su 656, ovvero il 15 per cento: 50 impianti sono fermi per la limitazion­e dei percorsi anti-Covid, altri 48, soprattutt­o sulla linea B, perché a fine vita tecnica e in corso di sostituzio­ne. Il problema è che, per ultimare i lavori, non si prevedono tempi brevi visto che, prima di montare i nuovi impianti, manca ancora l’ok del Genio civile: «Minimo ancora tre mesi per riaprire le stazioni Policlinic­o e Castro Pretorio», lamentano i sindacati.

Il bilancio Gli impianti fermi sono attualment­e 98 su 656, il 15 per cento: 50 sono bloccati per le limitazion­i dei percorsi anti-coronaviru­s

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(foto Imagoecono­mica) Giovanni Mottura

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