«Mai chiesto di cambiare le relazioni»
Depistaggi, la difesa dell’ufficiale. Ilaria: «Triste spettacolo»
Imputato riluttante, il generale Alessandro Casarsa interrompe il pm, anticipa le domande e trattiene l’ impazienza. Senza spiegare risponde ai quesiti del pm Giovanni Musarò costretto a ricordargli d’un tratto che «non siamo in caserma» e che, dunque, per un giorno, dovrà spogliarsi dell’abitudine di dare ordini. L’ex capo dei corazzieri, oggi alla guida della grande unità mobile specializzata di Tor Di Quinto, è chiamato a dare conto delle modifiche nelle annotazioni di servizio dell’arresto di Stefano Cucchi ma, più in generale, deve difendersi dall’accusa di aver nascosto la verità all’intero Paese accreditando (tramite la risposta al Parlamento di Angelino Alfano, all’epoca ministro dell’Interno) la versione di un Cucchi tossicodipendente e compromesso anziché di un ragazzo sano, pestato mentre era agli arresti. Lui, assistito dal suo difensore, l’avvocato Carlo
Longari, non si discosta dalla versione di aver solo fatto il suo dovere: «Ho iniziato a occuparmi della vicenda di Stefano Cucchi la mattina del 27 ottobre 2009 quando ho ricevuto la disposizione da parte di Vittorio Tomasone (all’epoca dei fatti comandante provinciale di Roma, ndr) che mi chiamò e mi chiese di raccogliere le relazioni di servizio dei militari che avevano avuto a che fare con il detenuto». Da qui in poi il generale si limiterà a minimizzare il contesto eludendo i dettagli: «Non diedi mai l’ordine di modificare le note» dice. L’esigenza di allontanare i sospetti dall’Arma che nel 2009 era già sotto accusa per il caso Marrazzo non era forse un buon movente per addomesticare versioni e modificare relazioni interne chiede il pm? No a sentire Casarsa, secondo il quale l’Arma godeva di buona salute all’epoca: «Ricordo la vicenda Marrazzo — dice — con il trasferimento di un intero reparto: il fatto che ci fossero stati degli arresti era doloroso ma non c’era fibrillazione». Come mai si trascurò di approfondire la questione del fotosegnalamento mancato di Stefano Cucchi (già pesto e dunque non fotosegnalato) chiede allora Musarò? «Francesco Cavallo (all’epoca dei fatti tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma, ndr) mi riferì che Cucchi non era stato fotosegnalato perché era già noto, un’informazione per me soddisfacente» è la risposta.
E come spiega la nota diffusa dall’Arma nella quale si anticipava il contenuto di un’autopsia ancora non depositata se non come un vero e proprio depistaggio? «Ricordo che la domenica con Tomasone commentammo un articolo di stampa. Successivamente dissi a Cavallo di fare un’integrazione, fatta probabilmente con la “maschera” del 30 ottobre, aggiungendo elementi dell’articolo e altri raccolti da Tomasone da autorità e giornalisti» è la spiegazione. «Triste spettacolo», chiosa in un post su Facebook Ilaria Cucchi.
La droga Casarsa aveva cercato di accreditare la versione di un Cucchi tossicodipendente e compromesso