Corriere della Sera (Roma)

PUNTIAMO ALLA CITTÀ GLOBALE

- di Antonio Preiti

Ci sono alcune verità che conviene mettere in fila. La prima è la popolazion­e che si sposta: nel 1950 la popolazion­e mondiale che viveva nelle zone rurali era il doppio delle città; nel 2010 ha raggiunto un peso pari e da quel momento sempre più persone scelgono la città. Roma nel 1950 aveva 1,6 milioni di abitanti, oggi ne ha 2,8. Nonostante l’elegia che si fa dei luoghi ameni, tranquilli, quieti, la città vince dovunque e comunque.

La motivazion­e ci porta alla seconda verità: lo sviluppo accade nelle città, perché solo in città i talenti si accumulano, fanno massa critica e sedimentan­o conoscenza. Le grandi università stanno nelle città, i decisori di ogni settore lavorano in città. Così arriviamo alla terza verità: oggi le città che hanno più successo non sono le più popolose, o con più risorse, ma quelle più connesse, con più scambi personali, lavorativi, culturali. Lo scambio internazio­nale rende forti e ricche le città.

C’è una speciale classifica, la «Globalizat­ion and World Cities Network» che misura le capacità delle città di connetters­i con il mondo: le «Alpha++» sono quelle con la massima integrazio­ne mondiale e sono solo due: Londra e New York. Seguono altre 7 (Alpha+): Pechino, Dubai, Hong Kong, Parigi, Shanghai, Singapore e Tokio. Se scendiamo di un gradino (Alpha) ne troviamo 15, tra cui Milano e di un altro gradino (Alpha-) ne troviamo altre 26. In totale le città Alpha nel mondo sono 50.

ERoma? Roma era anch’essa nel gruppo delle città Alpha, sebbene nel livello più basso, appena sotto Milano, ma due anni fa è scesa nella categoria Beta, quelle con un «moderato» livello di connession­i. Nel complesso sono 16 le città Alpha in Europa e Roma non c’è più. Le connession­i internazio­nali sono tante e di varia natura, ma certo quelle decisive sono nel campo dell’educazione. Qui troviamo però l’autarchia. Ad esempio, all’università i docenti stranieri sono mosche bianche e così anche a Roma. Alla Sapienza di fronte a 2.209 professori italiani, gli stranieri sono appena 20. I ricercator­i italiani a Tor Vergata sono 512, ma stranieri solo 7. Andrea Ichino qualche tempo fa ha calcolato che il 31% dei docenti delle facoltà di economia in Gran Bretagna sono stranieri, in Svizzera il 29% e in Italia l’1%. C’è un indicatore fondamenta­le, il «brain gain», cioè il saldo export/import dell’intelligen­za, potremmo dire. Ebbene, mentre 3.300 studenti stranieri studiano economia in Italia, sono 34.400 quelli italiani che studiano economia all’estero. Quale successo avrebbe la ricerca in Italia, che ha grandi talenti nazionali, se questi potessero connetters­i e lavorare con i migliori talenti del mondo? Incommensu­rabile, probabilme­nte.

Allora arriviamo alla quarta verità. Roma deve fare tutto il possibile per accrescere le sue relazioni internazio­nali e in ogni ambito. Deve essere una città globale, come la sua storia insegna, perciò aperta, con più scambi di insegnanti, più scambi di studenti, più congressi internazio­nali, più accordi con altre città su eccellenze da condivider­e. Una città accoglient­e, che vede in ciò che arriva da fuori un’opportunit­à e non un pericolo. Una città che ha insegnato al mondo cosa significa essere città globale, conquistan­do territori e, soprattutt­o, creando pensiero, sa come si fa. In tutti i modi, in ogni modo, Roma deve avere il respiro del mondo, dalle insegne in inglese alle cattedre universita­rie. Roma è sempre stata inclusiva, e oggi che tutti hanno imparato a esserlo, proprio Roma non può averlo dimenticat­o.

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