Veloccia: «Gli investitori esteri puntano a Roma ma la burocrazia li impaurisce»
L’assessore Veloccia (Urbanistica): il mondo della finanza internazionale mostra grande interesse per questa città. Ma mancano idee e progetti e ci sono procedure che spaventano
Di Antonio Pala, il suo predecessore degli anni ‘80 che rese pedonale piazza Navona ed eliminò il mega-parchegza gio da piazza Venezia, non ne sa nulla. Maurizio Veloccia, assessore all’Urbanistica in Campidoglio, con i suoi 44 anni ci ricorda senza volerlo che al mondo tutto passa, spesso senlasciare traccia. Luigi Petroselli sì, quel sindaco comunista così amato dai romani, invece sa bene chi è stato. E in qualche modo - sfumato - ne rammenta il profilo politico-amministrativo quando parla di periferie, del rilancio del Progetto Fori e delle grandi potenzialità che ha Roma come uno dei centri del mondo. Veloccia si riferisce al Giubileo del ‘25, alla possibile Expo del ‘30 e anche, dopo l’indicazione di monsignor Fisichella, al 2033, il bimillenario della morte di Cristo.
«La Magliana e Corviale - dice orgoglioso mi hanno fatto le ossa come presidente di Municipio» ed è lì, forse, che la passione politica dell’ingegnere ha preso le vitamine. Ha affinato il suo standing istituzionale alla Regione con Zingaretti di cui prevede un futuro da ministro, sempre che la Meloni lo permetta.
Veloccia parla molto delle persone quando fa i suoi ragionamenti da assessore all’Urbanistica. «Si è tanto parlato di risanamento delle periferie seguendo schemi teorici, procedurali. Meno della dignità dei loro abitanti, da difendere facendoli sentire cittadini». L’assessore scorre i molti temi connessi e parla di territori «dove non ci sono fogne, strade, neppure la luce. Per non parlare dei servizi, dei collegamenti con il resto della città». Veloccia si mostra sorpreso e insieme desolato delle condizioni nelle quali ha ereditato la gestione della dimensione urbanistica della metropoli. La capacità di sorprendersi è sempre un buon segno, ma le cause dell’amarezza «civica» sono da anni sotto gli occhi di tutti.
Per esempio: Veloccia ancora si interroga su come vada risolto il problema annosissimo dei collaudi delle opere pubbliche, comprese quelle «a scomputo» (fatte dai privati in cambio di concessioni edilizie): vie, piazze, scuole, fogne, reti tecnologiche pronte ma che non possono andare in esercizio perché non hanno ricevuto il collaudo da parte delle commissioni comunali. «Potremmo sostituire con elementi esterni i commissari assenti come protesta per la mancanza di un bonus specifico». Che altro si può fare? Se ne discute, si cercano vie d’uscita: e intanto le opere pubbliche degradano e spesso andrebbero restaurate per assenza di manutenzione. E la vicenda dei condoni? L’Ufficio è riaperto da poco dopo anni di chiusura. E la montagna di pratiche ferme? «Ormai sono circa 150 mila, ma i due terzi non hanno riscontri, forse perché i soggetti interessati sono morti». Trapela dall’assessore la macabra speranza che sia proprio così, e che finalmente con poche decine di migliaia di pratiche da smaltire e l’aiuto di qualche computer in più il problema del condono edilizio - scandalo nello scandalo - sia risolto.
E il futuro? «Roma ha grandi possibilità. Il mondo della finanza internazionale non aspetta altro che investire qui. Milano è una piazza ormai esaurita, ci sono enormi capitali che mostrano grande interesse per una scelta romana. Non sto parlando di manovre speculative: si tratta di grandi fondi istituzionali a cui basterebbero interessi limitati, sufficienti per giustificare l’investimento». Allora siamo a posto: i soldi ci sono. «Ma rischiamo di perdere l’occasione. Manca la proposta su cosa fare, le idee, i progetti. E poi c’è una serie di procedure - in fondo è la burocrazia - che sembrano fatte per spaventare gli investitori, dirottandoli su piazze più snelle, più efficienti. In grado di mettere a reddito in duetre anni il danaro impegnato. Quando va bene, qui si parla di sette-otto anni».
Arrivando al suo incarico capitolino l’ingegnere con la passione politica ha scoperto che «Roma è una città senza numeri». «Non solo nel mio campo - denuncia Maurizio Veloccia - ma anche negli altri settori dell’amministrazione vedo che mancano le banche dati di cui dispongono, per esempio, le grandi città europee. Ci muoviamo su idee, intuizioni, programmi che galleggiano senza le misure fondamentali della società: quantità, calcoli, applicazioni scientifiche». I dati obbiettivi su cui muoversi, sui quali regolarsi. «È incredibile quanto siamo indietro. Mi chiedo perché l’amministrazione, nel corso degli anni, non si è via via dotata degli strumenti di base per dirigere le scelte che vanno fatte sulla realtà effettiva, non presunta». Ce lo chiediamo tutti.