Sfasciacarrozze, battaglie (e ricorsi) per non traslocare
L’incendio divampato a Centocelle riapre l’annosa questione dello spostamento fuori dal centro abitato degli autodemolitori, oltre un centinaio, che si trascina da oltre 20 anni a colpi di proroghe, proteste delle categorie e battaglie di fronte al Tar. Ieri l’ex sindaca, Virginia Raggi, meno attiva sui social che in passato, è riapparsa con un post su Instagram: «Una tragedia con fiamme che hanno messo in pericolo abitazioni e persone. Ora questi “sfasciacarrozze”, come io chiedo da anni, vanno finalmente delocalizzati da Roma. Avevo avviato l’iter e hanno provato a fermarmi. Ormai non ci sono più scuse che possano reggere». Nel lontano 2009 l’ex giunta guidata da Gianni Alemanno approva una delibera che, dopo un lungo lavoro di monitoraggio per l’individuazione di siti alternativi, dà indirizzo alle strutture competenti di «ultimare con urgenza (vista l’imminente scadenza della gestione commissariale, ndr) l’istruttoria e le verifiche tecniche necessarie per il completamento della manovra di delocalizzazione degli autodemolitori e rottamatori».
Tuttavia, già allora viene rilevata (e messa nero su bianco) «l’insufficienza delle aree reperite» e si ravvisa la necessità di sottoporre al consiglio comunale la richiesta di implementarle, a integrazione o in alternativa a quelle già individuate. Passano gli anni e il 3 luglio 2018 il Campidoglio a guida Cinque stelle vota una memoria di giunta nella quale si ricorda, tra gli altri, che la legge regionale del ‘97 ne chiedeva il trasferimento fuori dal Raccordo per ragioni di tutela ambientale. Si accenna inoltre ai contenziosi davanti al Tar, che ha accolto i ricorsi delle società contro le Conferenze dei servizi riguardo alla presentazione di un progetto definitivo, ritenuta sproporzionata rispetto alla trafila ultra ventennale di delocalizzazione: un percorso ancora incompiuto che presta il fianco alle rivendicazioni in sede giudiziaria. Preso atto della provvisorietà nella gestione del fenomeno, l’esecutivo capitolino impegna l’assessorato all’Ambiente ad «attivare un’interlocuzione fattiva con la Regione per la soluzione di tutte le problematiche relative agli impianti di demolizione». Nel frattempo, vengono chiusi diciassette «sfasci» che ricadono nel parco archeologico di Centocelle, in quanto i vincoli archeologici e paesaggistici non consentono alcun adeguamento ambientale. I rappresentanti del settore insorgono e manifestano in massa sotto il Marco Aurelio.
Arriviamo a novembre e Raggi emana un’ordinanza per interdire, seppure in via provvisoria, l’accesso alle aree che ricadono nel parco archeologico di Centocelle - in particolare il cosiddetto «canalone» - dove era già stata rilevata la presenza di sostanze inquinanti in concentrazione superiore a quella consentita per legge: tra gli altri piombo, tallio, stagno, zinco e arsenico (in precedenza erano emersi materiali di risulta e rifiuti interrati abusivamente nei cunicoli sottostanti).
Sabato l’ennesimo incendio, il quarto in meno di un mese, ha riportato l’attenzione su un problema mai risolto con effetti collaterali che forse si sarebbero potuti evitare.