Orff tra sacro e profano
I «Carmina Burana» nella Cavea con il Coro di Santa Cecilia diretto da Piero Monti: «La loro esecuzione si è trasformata nel tempo in una tradizione dell’Accademia»
«Fioriva un dì lo studio / ed or si cangia in tedio; saper valse non poco / ma poi si è imposto il gioco». La satira morale e la devozione religiosa dei Carmina Burana tornano con il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia domani sera alla Cavea dell’Auditorium. Fortunata riscrittura di 24 canzoni medievali ad opera del compositore tedesco Carl Orff (1895-1982), i Carmina sono il nuovo appuntamento estivo dell’istituzione ceciliana dopo la chiusura di stagione e dopo la residenza al Festival dei Due Mondi di Spoleto. A dirigerne la versione per percussioni, due pianoforti e coro, Piero Monti che guida quest’ultimo dal 2019. «C’è un aspetto divertente nella musica di Orff — dice il maestro del coro tradendo le origini romagnole — io infatti mi diverto sempre quando la dirigo, spero che questa sensadal zione si trametta al pubblico. Si può dire anche che la loro esecuzione è una tradizione di Santa Cecilia». Se l’occasione precedente a quella di domani risale al 2020, ovvero al tempo in cui la pandemia ha reso i teatri inaccessibili al pubblico imponendo ai cantanti una distanza di due metri ciascuno con non poche difficoltà acustiche, la versione 2022 vedrà sul palco anche le voci soliste di Sara Fiorentini (soprano), Marco Santarelli (tenore) e Massimo Simeoli (baritono).
Con testi in latino, tedesco medievale e langue d’oïl i componimenti scelti da Orff sono solo 24 dei duecentocinquanta contenuti nel Burana Codex ritrovato nel 1803 nell’abbazia bavarese di Benediktbeuren. Una trascrizione di canti provenienti forse Tirolo o dalla vicina Stiria, che i clerici vagantes, detti anche goliardi, ovvero studenti nomadi che tra l’Undicesimo e il Tredicesimo secolo praticavano una sorta di Erasmus medievale chiamato perenigratio academica, si scambiavano nei momenti sottratti allo studio. Gli argomenti trattati sono vari: l’ozio, il libertinaggio, la crapula, il dileggio dei vizi del clero, l’insofferenza per il potere, l’amore casto, la transitorietà dei piaceri terreni, la volubilità della fortuna e il culto della Vergine.
«Sono ben conosciuti i primi due minuti dell’opera — racconta Monti — grazie anche alle citazioni cinematografiche e all’uso che ne ha fatto la pubblicità, ma nei Carmina c’è molto altro, sono ricchi di spunti interessanti. Non bisogna fermarsi all’aspetto superficiale: si tratta di un’opera nata da un sincero interesse di Orff per la cultura medievale che si inventò uno stile rifacendosi alla musica monodica». La cantata scenica è scandita in diversi momenti: uno dedicato alla Fortuna (O Fortuna / come la luna / costantemente variabile), uno alla primavera, uno «alla corte dell’amore» e uno alla vita in taverna dove si gioca «ma soprattutto si beve», aggiunge il maestro del coro. Quello di Santa Cecilia, suggerisce Monti «è un’eccellenza italiana costituita da artisti che ogni nuova replica cercano di dare il meglio, così come io cerco ogni volta uno spunto nuovo da dare al pubblico che è sempre la nostra priorità».
❞ Sono ben conosciuti i primi due minuti dell’opera ma nei Carmina c’è molto altro