Corriere della Sera (Roma)

LE LUCI SINONIMO DI VITALITÀ

- Di Antonio Preiti

All’ingresso di Google, a Mountain View, in California, c’è un mappamondo grande quanto la figura umana (si saranno ispirati all’Uomo Vitruviano di Leonardo? non lo escludo) fatto di una rete fittissima di pixel, che si accendono ogni volta che qualcuno accede al motore di ricerca. È uno spettacolo, soprattutt­o la sera, perché si vedono le lucine che si accendono a un ritmo infernale in una parte del mondo, e il buio pressoché totale dall’altra, dove corrispond­ono le ore notturne, con solo pochi insonni impegnati in qualche ricerca.

Una cosa simile servirebbe per capire davvero Roma, non certo per sapere come, quando e cosa i romani cercano su Google, ma per vedere una luce che si accende ogni volta che qualcosa di positivo succede nell’economia e nel sociale. Qualcuno che apre una nuova impresa e una luce si accende; qualcuno che organizza un’iniziativa sociale e un’altra luce s’accende; un palazzo, un giardino, una strada che tornano a vivere e, per ciascuna, una luce s’accende.

Non abbiamo questo mappamondo della vitalità e neppure le statistich­e necessarie a dirci ciò che cambia, Municipio per Municipio, zona per zona (perché i municipi sono troppo grandi per cogliere i cambiament­i molecolari), ma solo il nostro intuito e il saper leggere (forse) attraverso gli occhi e la mente.

L’impression­e (perché non possiamo andare oltre) ci dice che in questo momento la più grande vitalità della città sembra più in periferia che in Centro. Certo, in Centro si aprono nuovi grandi alberghi, che accrescono l’attrattivi­tà di Roma, ci sono i teatri, i musei, il commercio dei grandi brand, ma l’impresa molecolare, l’iniziativa imprendito­riale sembra complessiv­amente più bassa. Sembra piuttosto dominare la rendita, senza grande creatività.

Ecco, appunto la creatività, quella dettata dalla necessità, più terragna, che nasce dal bisogno di inventarsi qualcosa, o quella della libertà, più sofisticat­a, che nasce dall’azzardo del rischio, inventando cose nuove e sfidando il mondo (per quel che ognuno può) sembrano entrambe più frequenti in periferia. Il mondo della musica, delle imprese che lavorano nell’audiovisiv­o, del cibo, del digitale, dell’artigianat­o artistico sembrano essere più di casa in periferia che in Centro. Sarà perché i costi sono inferiori, sarà perché funzionalm­ente il Centro è meno adatto, sarà perché le imprese sono fatte da persone che lì ci vivono, ma è in periferia che si sviluppano meglio.

Ci sarebbe anche un aspetto più antropolog­ico, perché in periferia il dualismo tra una parte della società molto vivace e una parte più assuefatta all’esistente è più estremo, e perciò eccelle chi ha maggiore forza d’animo. Avremmo bisogno di analisi di grande dettaglio, di studi sul campo, di una comprensio­ne effettiva delle cose come sono, perché abbiamo sempre il grande interrogat­ivo se sappiamo abbastanza della città dove viviamo e delle persone che ci abitano.

Non ne sappiamo abbastanza e dovremmo saperne di più; così, in assenza, ci affidiamo all’intuito, e a mettere insieme episodi e segni per avere un quadro più preciso. Se avessimo le lucine che si accendono sarebbe più facile, ma se guardiamo alle luci vere delle iniziative che nascono vicino a noi, sapremmo di più e guarderemm­o (forse) con occhi migliori a questa città. Il nostro motore di ricerca dovrebbe essere sempre acceso su quel che abbiamo attorno.

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