Ultima Generazione contro Cdp, muri arancioni
Quattro attivisti hanno imbrattato l’esterno della sede di Cassa depositi e prestiti
Ieri è toccato alla Cassa depositi e prestiti. In mattinata verso le 11.30 quattro attivisti di Ultima Generazione hanno imbrattato la facciata della sede centrale in via Goito dopo i molti blitz sul Raccordo e l’attacco al quadro di van Gogh.
Arrivati di fronte all’ edificio, due di loro hanno azionato un getto di vernice arancione con degli estintori sul lato sinistro rispetto all’ ingresso. Poi dopo aver imbrattato i muri di marmo bianco, tutti e quattro hanno incollato una mano al fabbricato. Subito è intervenuta la sicurezza, che ha tirato via le mani a uno dei manifestanti, provocandogli delle escoriazioni.
Sono gli stessi attivisti a spiegare il perché della scelta dell’istituto: «Ente finanziario all’82,77% a partecipazione statale - ricorda Ultima Generazione - la Cdp possiede Sace (agenzia assicurativa che garantisce progetti legati al fossile in Italia) dal 2012 e ha comprato Snam (il più grande operatore del sistema di trasporto del gas) da Eni. È anche nel consiglio azionario di Terna (l’agenzia statale che si occupa di concessioni di impianti energetici), di Italgas (distributore di gas) e di Saipem (società di servizi braccio destro nella costruzione di tutte le infrastrutture di Eni). Possiede inoltre il 25,96% della stessa Eni». L’obiettivo degli attivisti sono sempre le aziende produttrici di energie derivanti da fonti fossili. Gas e carbone come è anche scritto sugli striscioni srotolati ieri mattina.
«Tra questi nomi ci sono istituti internazionali ed enti pubblici che finanziano o assicurano i progetti di sfruttamento di oil&gas - continuano -. Aziende energetiche, finanziatori e assicuratori partecipati da Cdp che hanno in maggioranza grandi interessi e affari in Egitto che è luogo di violazioni di libertà e diritti umani e civili, primi fra tutti i casi Regeni e Zaki, nonché di repressione della libertà di espressione e di manifestazione diretta». Gli attivisti contestano «che i soldi pubblici continuano a confluire in progetti non accettabili, rimandando a tempi sempre più incerti la necessaria conversione energetica».