I teatri romani? Abbandonati
Filippo Dini, regista e interprete del «Crogiuolo» di Miller parla delle sale lasciate sole: «Chi gestirà il Valle? E l’Eliseo è un altro enorme buco nero»
«Considero Roma la mia città di adozione». Filippo Dini è nato a Genova. «Sì, ma ho trascorso la mia vita, finora, metà a Genova, metà a Roma». E adesso torna nella capitale con il debutto de Il crogiuolo di Arthur Miller, di cui è protagonista e regista al Teatro Quirino, dal 22 al 27 novembre. Lo spettacolo, prodotto dallo Stabile di Torino-Teatro Nazionale, vede tra i protagonisti, Manuela Mandracchia, Fulvio Pepe, Caterina Tieghi, Aleph Viola.
«Sono felicissimo di tornare a Roma, anche se purtroppo il teatro, in genere, in questa città è stato abbandonato dalle istituzioni».
A cosa allude?
«Innanzitutto, proprio il Teatro di Roma-Teatro Nazionale, il primo palcoscenico della Capitale, ancora non ha un direttore da troppo tempo, per non parlare del Valle...»
Un palcoscenico più antico del Teatro alla Scala... «Chiuso da anni...». L’assessore capitolino alla Cultura, Miguel Gotor, si è impegnato a riaprirlo entro il 2024...
«Speriamo che sia vero, ma poi mi chiedo: chi lo gestirà? Il Comune? Il teatro di Roma? E aggiungo che anche a via Nazionale non vedo insegne di teatri aperti».
Ovvero l’Eliseo... «Esattamente. Un altro enorme buco nero nella gestione teatrale romana».
E tutte queste incredibili assenze collidono con la notevole affluenza di spettatori che, al contrario dei cinema, affollano le platee.
«Certo. Contrariamente a quanto si può pensare, e cioè che gli spettacoli teatrali si possono fruire anche in streaming, una delle peculiarità del teatro è proprio che si tratta di un’esperienza da vivere in presenza, dal vivo... e questa caratteristica è molto apprezzata dal pubblico».
Il pubblico ora apprezzerà sicuramente un’opera che non viene rappresentata in Italia dal novembre del 1955, firmata da Luchino Visconti.
«Miller la scrisse nel 1953, quindi il grande regista la mise in scena come una novità di drammaturgia contemporanea. Inoltre Sandro Bolchi ne realizzò poi una versione televisiva! E questo la dice lunga anche sulla qualità delle proposte televisive dell’epoca... un’altra civiltà».
Perché ha deciso di realizzare questo progetto?
«Avevo letto il testo qualche anno fa e me ne sono subito innamorato: è estremamente passionale, appassionato nella scrittura e nella trama. Il tema che viene affrontato mi ha spinto a metterlo in scena perché è universale. L’autore lo concepì durante il Maccartismo, ovvero la “caccia alle streghe rosse” negli Stati Uniti, trasportando però la vicenda nella caccia alle streghe avvenuta nel Massachussetts nel 1692. Proprio Miller subì un tradimento civile, accusato dal suo Paese di attività antiamericane. Il suo amico Elia Kazan, convocato dalla commissione maccartista, denuncia alcuni amici comuni. Non fa il nome di Miller, ma per lui è la fine di un’amicizia e subito dopo scrive l’opera».
Una follia collettiva...
«Sì e la nostra messinscena dà libero sfogo alla passionalità intima e civile che emerge violentemente dai fatti rappresentati».
Il nostro spettacolo dà libero sfogo alla passionalità intima e civile del testo