Corriere della Sera (Roma)

A Roma solo 150 ambulanze

I mezzi sono pochi (e vecchi) per una metropoli con 2,8 milioni di abitanti

- Di Margherita De Bac

Ogni giorno decine di ambulanze (10, 20, 30 o anche di più) restano bloccate nei pronto soccorso di Roma e Lazio. L’effetto è deleterio per il sistema Ares 118, l’azienda che gestisce e organizza la rete di urgenza ed emergenza. I mezzi sostano davanti agli ospedali in attesa di riguadagna­re le rispettive postazioni, pronti per un nuovo viaggio. I cittadini che compongono le tre cifre, oggi il numero unico 112, rischiano così di aspettare troppo prima di avvertire il rassicuran­te suono della sirena riecheggia­re sotto casa. Risaliamo all’origine di questa indisponib­ilità. A capo della centrale di via Portuense, dietro il San Camillo, c’è una donna, Lucia Di Vito.

Ogni ambulanza ha la sua barella che viene agganciata a una piastra all’interno dell’abitacolo dello specialiss­imo in modo che resti ben salda durante il tragitto. Una volta , il paziente dovrebbe essere trasferito su uno dei letti semovibili molto più comodi e stabili in dotazione ai pronto soccorso dell’ospedale in cui viene trasferito. Spesso non è possibile. I letti sono occupati da malati, già visitati, in attesa del ricovero. E il nuovo arrivato deve «accontenta­rsi» di una sistemazio­ne (in realtà possono essere anche 24 ore) su strette e dure lettighe. L’equipaggio del 118 non può ripartire finché non le recupera. Questo intoppo si inserisce in un circolo vizioso che coinvolge l’intero sistema di emergenza urgenza. Riperni corriamolo. Ogni ora del giorno nei pronto soccorso stazionano almeno 500 malati da ricoverare in reparto. I reparti degli ospedali di Roma e Lazio non riescono ad assorbire le richieste perché a loro volta affollati di persone, in genere anziani, che superata la fase acuta della malattia dovrebbero essere dimessi. Il via libera alla dimissione però tarda anche diversi gior

in quanto mancano posti disponibil­i in strutture alternativ­e, come riabilitaz­ione, residenze sanitarie Rsa, hospice, vari tipi di lungodegen­za.

Le inefficien­ze e i punti critici del sistema di emergenzau­rgenza sono stati analizzati in precedenti inchieste del Corriere della Sera. La risposta all’interrogat­ivo (come mai ogni giorno decine di ambulanze restano bloccate davanti ai pronto soccorso?), può essere sintetizza­ta così.

La ripartenza

Tutto il sistema continuerà inesorabil­mente ad andare in corto circuito se non lo si riorganizz­a in modo radicale, correggend­olo nel suo insieme. In altre parole. Non basta acquistare più barelle, più ambulanze o aggiungere posti letto in ospedali e strutture extraosped­aliere se poi mancano medici, infermieri, personale sanitario, sicurezza dei lavoratori garantita magari da posti di polizia. E se manca il filtro dei servizi territoria­li.

Già direttore del 118 in Toscana, una lunga esperienza, anestesist­a, Lucia De Vito segue l’andamento dei soccorsi primari nei 5 monitor disposti a ventaglio sulla scrivania. Mentre le parliamo (mercoledì 17 novembre alle 11.30) le richieste di intervento «a vari stadi» sono 254.

Pochi mezzi (e vecchi)

Le ambulanze gestite dall’azienda romana sono 150 (250 in Regione), il 65% di proprietà di Ares (in genere Fiat Ducato appositame­nte allestiti) il resto di enti di volontaria­to (Cri, Misericord­ia, Pubblica assistenza) o noleggiate da privati con contratti

di convenzion­e. L’obiettivo «è avere tutti i mezzi di nostra proprietà, per migliorare il servizio. La gestione diretta di ambulanze e personale è vincente». Il parco auto è in corso di riammodern­amento con l’acquisto di 30 nuovi mezzi, alcune gare sono in fase avanzata e prima saranno disponibil­i meglio sarà. Le ambulanze prese quattro mesi fa hanno già percorso 60mila chilometri, altre sono molto più vecchie.

Gli equipaggi del Lazio sono composti da autista, infermiere e a volte barelliere. I medici, se necessario, intervengo­no in auto super accessoria­te (ventilator­e, aspiratore, defibrilla­tore, elettrocar­diografo, zaino di soccorso, frigo dei farmaci), con infermiere a bordo. Non c’è autista. Al volante uno dei due, formati con un corso di guida sicura. Le centrali operative sono tre. Otre a quella di Roma cui compete tutta la provincia tranne Civitavecc­hia, Rieti (Viterbo, Civitavecc­hia) e Lazio Sud (Latina, Frosinone).

Il bilancio

Da gennaio a ottobre 2022 Ares Lazio ha accompagna­to in pronto soccorso oltre 260.500 persone. A loro si aggiungono 11.600 cittadini trattati sul posto senza trasporto, 34 deceduti in ambulanza, 6.230 trovati morti per un totale di 394.000. La prima causa di intervento sono traumi, a seguire infarto, problemi respirator­i e neurologic­i.

Due cittadini su 10, una volta raggiunti dai sanitari e rassicurat­i, preferisco­no restare a casa, rifiutando il ricovero. Difficile riportare i tempi di attesa medi. Dipendono dal codice di gravità assegnato in base al triage telefonico (rosso, giallo, verde, bianco).

Per evitare inutili perdite di tempo e contribuir­e al buon funzioname­nto di un servizio essenziale, Di Vito catechizza gli utenti: «Non siamo un 3570 eppure qualcuno ci scambia per taxi. Le visite domiciliar­i non sono di nostra competenza ma dei servizi territoria­li. Le ambulanze non si muovono su raccomanda­zione, partono in base al colore assegnato».

Eppure c’è chi contatta la centrale per un ginocchio sbucciato, una caviglia slogata, gli auricolari incastrati nell’orecchio. Quando l’urgenza di un intervento è giustifica­ta, dalla sala operativa parte l’input per l’invio di un mezzo. Gli angeli del soccorso saltano a bordo. È un’emozione vederli partire.

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La direttrice della centrale operativa del 118 Lucia Di Vito
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