«Racconto la frattura umana della Storia»
Simone Cristicchi al Teatro Olimpico con «Esodo» rievoca il dramma collettivo quando l’Istria e la Dalmazia vennero annesse alla Jugoslavia. Un monologo fra parole, musica, filmati e foto
Le sedie accatastate, i vestiti e gli altri oggetti di uso comune non sono più in scena, ma la testimonianza dello sradicamento di vite come la nostra ha ancora la stessa urgenza di mostrare la feroce idiozia della Storia.
Esodo di e con Simone Cristicchi è lo spettacolo che domani al Teatro Olimpico torna sulla migrazione forzata dei giuliano-dalmata di lingua italiana e sulla rimozione di cui sono stati vittime nel secondo dopoguerra. Un progetto nato già due lustri fa nella versione più articolata di Magazzino 18 con la regia di Antonio Calenda — spettacolo che, debuttando nel 2013, era presidiato dai carabinieri per timore di violenze contro gli artisti accusati di revisionismo — oggi torna in una versione aggiornata e più snella. Tra musica e racconti, Cristicchi rievoca il dramma collettivo che ha riguardato circa trecentomila persone quando l’Istria e la Dalmazia vennero annesse alla Jugoslavia.
L’equivalenza questione istriana uguale questione fascista ha dominato per tanti anni. Secondo lei ora si è fatta più debole?
«Io credo di sì. Di questa vicenda si parla molto di più ora che dieci anni fa, quando ho cominciato a lavorare al progetto con lo Stabile del Friuli Venezia Giulia. Anche lo spettacolo ha dato il suo contributo: ha incontrato un enorme pubblico, colmando un vuoto di conoscenza ed empatia. Tante, tantissime persone che non sapevano nulla di cosa è successo dopo il Trattato di Pace del 1947 ci hanno ringraziato per il lavoro che abbiamo fatto».
È stato difficile superare le resistenze culturali?
«Soprattutto nei primi tre anni. In tournée ho avuto bisogno della vigilanza delle forze dell’ordine tra carabinieri e polizia che presidiavano i teatri. C’era un clima pesante poi, poco alla volta, anche nelle frange più estreme di sinistra come di destra, ci si è accorti che si parlava soprattutto di una frattura umana».
L’empatia come arma per superare le chiusure ideologiche? «Proprio così. Prima Magazzino 18 ora Esodo raccontano il senso dello sradicamento dalla propria terra d’origine. Qualcosa che riguarda ciascuno di noi come, ad esempio, per i grandi esodi che stiamo vedendo nel mondo. Mettere in luce è il nostro obiettivo».
Cosa accade sul palco in questo racconto aggiornato al 2022?
«L’impianto scenico è minimalista. Sono da solo con la mia chitarra. Si può dire che allo spettacolo mancano i personaggi, ma non manca affatto l’umanità. Anzi, con un racconto in prima persona, come Simone, credo che il rapporto diretto con il pubblico acquisti forza».
E poi c’è la musica.
«Alcuni canti tradizionali del repertorio istriano e le canzoni che ho composto appositamente. Non mancano le proiezioni con i filmati e le fotografie. È come sfogliare un album di famiglia».
La censura è una delle prime conseguenze della dittatura,
ne abbiamo conferma nella Russia di oggi.
«La quantità di persone all’oscuro di tante vicende come quelle che raccontiamo sul palco, mi ha davvero impressionato. Mettere in moto una coscienza al di là delle ideologie è quello che mi rende più orgoglioso».
Nel frattempo a Trieste ha aperto un museo dedicato all’esodo gliuliano-dalmata.
«Si chiama Magazzino 18 ed è anche merito nostro se è nato. Sono grato a Trieste che mi ha reso cittadino onorario nel 2015».
Obiettivo Mettere in moto una coscienza al di là delle ideologie è quello che mi rende più orgoglioso