Pugni e calci, finì in coma alla Nuvola Il pm chiede 4 condanne a due anni e mezzo
Che origine hanno le ferite che mandarono in coma, ai piedi della Nuvola di Fuksas, l’allora 17enne Giulio Di Curzio? E chi contribuì a causargliele durante la rissa nella discoteca Room 26 dell’Eur, culminata con la fuga del ragazzo dai suoi inseguitori? Era il 7 ottobre del 2017 e alla fine di un processo non semplice, con tre pubblici ministeri e quattro presidenti di corte cambiati, la Procura ha avanzato le sue richieste: due anni e mezzo a testa per i quattro ormai quasi trentenni Giorgio Atturi, Luca Natalizi, Patrizio Pintore, Francesco Pea con l’accusa di lesioni gravi in concorso. Una vicenda che all’epoca venne associata al pestaggio mortale di Willy Monteiro Duarte per le arti marziali praticate dagli imputati ma che, secondo le difese, se ne discosta di molto.
La lite quella sera nasce per gli apprezzamenti rivolti da Natalizi alla cugina di Di Curzio. I ragazzi già si conoscono per la frequentazione de «La spiaggia di Bettina» ad Ostia ma quell’approccio non piace a Di Curzio. Dopo un primo scambio di colpi con il coinvolgimento di altri soggetti, tra cui gli altri tre imputati, i buttafuori accompagnano tutti all’esterno, dove però la rissa riprende. Di Curzio riceve un pugno al volto da Pintore e vistosi in minoranza fugge via, inseguito sia dai rivali sia dalla comitiva di amici con intenzioni ovviamente opposte. Il 17enne attraversa la Cristoforo Colombo, passa davanti alla caserma dei carabinieri di via Asia, poi scavalca una recinzione del centro congressi e qui sparisce. Manca un quarto d’ora alle 3 di notte e verrà ritrovato solo dopo ore, a terra nel parcheggio sotterraneo, in coma e ricoperto di sangue. Su questa caduta, di certo autonoma, si gioca il processo.
Le ferite di Di Curzio vengono inizialmente messe in relazione al volo da sette metri d’altezza e quest’ultimo collegato al pestaggio. La consulenza del professor Vittorio Fineschi per conto della famiglia del ragazzo, assistita dall’avvocato Pierpaolo Dell’Anno, rovescia la prospettiva: quelle ferite hanno origine esclusiva, per tipologia e collocazione, dai pugni al volto ricevuti dal ragazzo e per questo ne devono rispondere in pieno gli imputati. Ma come ha fatto Di Curzio a fuggire, obiettano le difese, se i colpi ricevuti gli avevano arrecato danni così gravi?
I filmati dell’intera dinamica della fuga non sono disponibili, né sono stati effettuati gli esami tossicologici ed è quindi impossibile — a dire dei legali — escludere legami tra la caduta e le ferite. «Di Curzio non è una vittima indifesa come Willy e il pm accomuna le responsabilità degli imputati pur dicendo che non tutti hanno sferrato colpi», obietta l’avvocato Fabrizio Bruni, che difende Pea. Dopo lunghe e faticose cure, Di Curzio ha ripreso la sua vita. A maggio la sentenza.