E ora la lotta più dura
Viene voglia di crederci: la lunga, estenuante crisi economica che dura da troppi anni dovrebbe essere alle spalle. Dopo molti tentativi e altrettanti proclami, se non inciampiamo in beghe da pollaio (politico) o scopriamo sotto il tappeto (finanziario) nuovi mostri, in un lustro potremo tornare a tassi di disoccupazione fisiologici. Questo realmente conta: Pil e spread sono passaggi intermedi; lo stato di salute di un Paese si misura con la dignità e la ragionevole serenità in cui vivono i cittadini e nelle aspirazioni promosse e non mortificate dei giovani. Se effettivamente ne siamo fuori, possiamo permetterci di essere magnanimi e riconoscere a tutti il loro merito, anche a chi ci ha provato nelle fasi più critiche e, non avendo ottenuto risultati immediati (le soluzioni si individuano commettendo errori), è passato alla storia come “affamatore del popolo”. Penso a Mario Monti, a Elsa Fornero che nell’immaginario collettivo fa rima con le peggiori cose, alle scelte dell’allora presidente Napolitano, al passo indietro di Pier Luigi Bersani, al sacrificio di Letta dopo l’Enrico-stai-sereno. Se così sarà — il se è fondamentale —, i successi saranno attribuiti a Matteo Renzi e a Mario Draghi. Molti si risentiranno, perché senza i “martiri” precedenti non avremmo compreso il baratro su cui eravamo sospesi, né sarebbero state possibili le azioni di rilancio. Ma, per noi, conta il risultato e, comunque, il presidente del Consiglio e il governatore della Bce hanno lottato come leoni per non soccombere alle schiere di disfattisti (i qualunquisti non ancora domati) che invocavano ingenue scorciatoie e pogrom contro l’euro, la politica, la presa di coscienza, i nemici della porta accanto. Se volessimo addirittura esagerare in buonismo, riconosceremmo anche a loro, i disfattisti, di essere stati necessari per risvegliare, in chi l’aveva, il buon senso di contrastarli. Ammettiamo, dunque, che il cielo si sta rasserenando. Bene, allora è tempo di impegnarsi in ciò che, per 70 anni, la Repubblica ha colpevolmente trascurato o provato a fare senza convinzione: dichiarare guerra totale alla malavita organizzata. Negli ultimi decenni, le mafie regionali hanno occupato l’intero Paese, si sono globalizzate meglio e prima della nostra economia. È il vero cancro da estirpare per fornire una prospettiva ai giovani del Sud. Mettiamo in campo tutte le risorse, l’esercito se serve, ma gettiamo in mare le mafie che ci soffocano e inquinano: sono i parenti stretti della corruzione. Non servono casse per il Mezzogiorno (anzi sono nefaste), occorre liberare le potenzialità immense di Campania, Calabria, Puglia, Sicilia, rendendole luoghi sicuri per chi vuole investire. Altrimenti il rinnovamento si risolverà nella solita gattopardata e, prima o poi, verremo giustamente espulsi dal novero delle nazioni civili.