Cose di questo Mondo
Il primo vorrebbe un accordo sul nucleare, l’altro no. Entrambi hanno buone ragioni, ma sarà interessante vedere la posizione della Francia
La fine di marzo, prossima scadenza per un eventuale accordo sul nucleare iraniano, si avvicina, e rimette la questione al centro della scena. È bene arrivare a un compromesso con l’Iran, Paese che cerca di dotarsi di armi nucleari? A riguardo ci sono due opinioni contrastanti. Da una parte quella degli Stati Uniti, per i quali è arrivato il momento di rimettere in gioco l’Iran, e quindi sarebbe preferibile un accordo poco soddisfacente piuttosto che un mancato accordo. Dall’altra quella di Israele, che attraverso il suo primo ministro si oppone a qualsiasi forma di accordo, in nome della sicurezza del Paese. La questione ha assunto un risvolto polemico, perché Netanyahu si è concesso il lusso di parlare al Congresso degli Stati Uniti, a maggioranza repubblicana, quegli stessi repubblicani cui è da sempre molto vicino. È stato in realtà un contro-discorso: il premier israeliano ha preso le distanze dalla linea ufficiale della politica estera americana, mettendo in guardia sul pericolo di un accordo con l’Iran, e portando a compimento la rottura con Obama. Non sembra molto intelligente aizzare l’uno contro l’altro i due poteri statunitensi, e di certo questa intrusione lascerà degli strascichi. E poi è stata dettata da meri interessi elettorali, perché a fine mese in Israele si vota per il rinnovo della Knesset, e Netanyahu vuole guadagnare punti sui rivali di centrosinistra. Non bisogna però dimenticare che oggi Israele è di fatto accerchiato dall’Iran e dai suoi bracci armati, Hezbollah e Hamas. E poi per distruggere il Paese sarebbe sufficiente un solo colpo, una sola bomba atomica. Quindi è una questione di sopravvivenza. E anche se con il congelamento di dieci anni che al momento è sul tavolo delle trattative, un accordo con l’Iran implicherebbe da parte di Europa e Stati Uniti l’accettazione dello sviluppo di un’infrastruttura nucleare che, sul medio termine, può portare alla costruzione della bomba. Israele non è il solo a temere l’espansione dell’Iran su tutta la regione: l’Arabia Saudita, che è la maggiore potenza sunnita, è sempre più preoccupata, e recentemente ha rafforzato i suoi legami con il Pakistan, Paese che ha promesso di aiutare i sauditi a dotarsi di armi nucleari qualora l’Iran riuscisse nel suo intento. È uno degli ostacoli, e di un certo peso, in questo negoziato: il timore che nella regione si assista alla proliferazione delle armi nucleari.
LA MINACCIA ISIS. Dal punto di vista statunitense ed europeo, invece, la prospettiva a lungo termine suggerisce un riavvicinamento all’Iran. Certo, la natura del regime, che resta una dittatura religiosa, non facilita in alcun modo il compromesso, ma la situazione oggettiva sì. Perché se consideriamo che il pericolo principale è rappresentato dall’Isis, e si tiene da conto la manovra d’accerchiamento che quest’ultimo minaccia, poiché la conquista della Libia è obiettivo dichiarato del movimento estremista, allora l’Iran torna a essere un alleato naturale. Già è così sul territorio iracheno, che in effetti è sempre più un satellite dell’Iran, e resiste all’Isis soltanto grazie al sostegno dell’esercito di Teheran (ribattezzato “milizie sciite”). Ma l’Iran sostiene anche al-Assad, e forse in un prossimo futuro l’esplosione dello Yemen. Quindi, da un punto di vista strettamente americano ed europeo, si può ritenere che aiutando il partito che in Iran vuole rientrare a far parte dello scacchiere internazionale, si contribuisce a un’eliminazione più rapida dell’Isis e a stabilizzare la regione. La discussione è certamente complessa e delicata. E sarà interessante osservare la posizione che assumerà la Francia. Proprio Hollande l’anno scorso aveva bloccato una prima ipotesi di accordo. Di certo non potrà farlo una seconda volta, ma la Francia si è guadagnata il diritto di avere voce in capitolo nei negoziati. E di certo sul piatto della bilancia metterà anche la sicurezza di Israele.