Blowin’ In TheWeb
Dai selfie a twitter: non esistono più eventi, immagini, emozioni che non comprendano te con il tuo corpo e con la tua centralità
Lo Stato di New York ha approvato una legge che vieta di scattare i selfie con leoni e tigri. Mentre a Firenze la Galleria degli Uffizi ha vietato l’ingresso al museo con i “narcissistick”. Neologismo americano coniato per indicare i bastoni da selfie che ormai si vendono ovunque. Narcissistick è un termine che non serve neppure tradurre, si capisce immediatamente quel che significa, e racconta di come sia ormai indispensabile essere in primo piano con quello che di importante o di emozionante gira per il mondo. Ma è un piano di irrealtà. Il narcissistick ti immortala con la Primavera del Botticelli e ti domandi che senso abbia; un tempo ci si faceva fare una foto con la star di turno, o la celebrità per portarla agli amici e dire: io l’ho incontrato, ci siamo fatti la foto assieme, questa è la prova. Ma cosa significa fotografarsi con un quadro o una scultura? Vuoi dimostrare che li hai visti? No, vuoi dimostrare che niente al mondo può esistere se non ci sei tu di mezzo. Copernico ha perso. La nostra percezione interiore è tornata tolemaica. Non esistono più eventi, immagini, emozioni che non comprendano te con il tuo corpo, con la tua visibilità, con la tua centralità. Se un tempo entrare in un museo era una forma di meditazione privata. Io seduto, su un divanetto, immobile, di fronte a Caravaggio, con il sogno magari di una sala quasi vuota, per non essere disturbati. Io alla distanza giusta, con il sollievo di fare un passo indietro per godere di qualcosa di straordinario. Oggi prendi l’arnese per il selfie e riesci a metterti nel quadro. Non è quello che guardi a contare, sei tu che prendi senso mentre stai accanto al qua- dro, all’opera d’arte, alla grande architettura. È una forma di svilimento inconsapevole, voluto. Io non ho un rapporto con l’opera d’arte, la mastico, la inglobo, la rendo uguale a me, siamo nello stesso spazio. Perché sono cresciuto con l’idea che il mio essere al centro di ogni cosa è condizione necessaria per rendere la vita accettabile e tollerabile.
UN’UMANITÀ BAMBINA. A New York vietano leoni e tigri, a Firenze non entri con lo strumento narciso del selfie nel museo degli Uffizi. Ma il resto è ormai preda di un narcisismo patologico indotto e astuto, che ha reso un mondo di adulti in un’umanità bambina e regredita. I bimbi vogliono la foto con il leone. Ora la vo- gliono gli adulti. I bimbi devono sempre dire qualcosa perché non hanno la modalità dell’attesa. Per cui vedono qualcosa e si esprimono immediatamente. E questo è twitter che rende tutti opinionisti compulsivi, ad esempio. I bimbi dicono “io” costantemente, e devono attraversare quella che gli psicologi chiamano la fase del narcisismo primario. I bimbi escono dal cinema, e desiderano il merchandising che si vende appena fuori dalla sala, con i personaggi del film che hanno visto. Pochi giorni fa leggevo che il vero grande affare del film 50sfumaturedigrigio, è l’indotto: il boom di lingerie, borchie, corsetti, frustini e strumenti sadomaso ispirati al film. I comportamenti dei bambini sono diventati quelli degli adulti: che si mostrano, si fotografano, esprimono opinioni su tutto, polemizzano, cercano in ogni modo di farsi notare, come fossero costantemente alla recita di Natale e dovessero salire sul tavolo per dire la poesia. Il messaggio è questo: chi non ha una storia tutta sua, chi non ha un’epica personale non è nessuno. Da un po’ di tempo, un bravo giornalista sportivo, Federico Buffa, racconta i grandi del calcio utilizzando una retorica e un’epica degli eventi vertiginosa. Ogni calciatore diventa un personaggio mitologico, e anche mangiare un hamburger in un pub qualunque di Londra diventa degno delle gesta di Alessandro Magno. Ai bambini si raccontano sempre storie leggendarie e magiche per farli sognare, ma soprattutto per renderli protagonisti delle cose. Ma purtroppo qui la magia e il sogno non centrano nulla. Qui c’è solo un mondo che ci vuole tutti bambini e narcisi per venderci cose di cui non abbiamo bisogno.