La democrazia italiana? È finita in un selfie
Rappresentanza della prima Repubblica, rappresentazione berlusconiana, autorappresentazione renziana. Un libro traccia un’evoluzione storica
l Vuoto arrivò quell’anno in cui doveva cominciare la nostra vita a colori. In un’estate, in una piazza mentre eravamo chiusi in macchina ad aspettare i padri, quando le piazze erano parcheggi, quando c’erano ancora le estati e i padri. Il sapore dei Settanta era la liquirizia. I microassegni da cinquanta, cento e centocinquanta lire per comprare i giornaletti, usati, passati di mano in mano, per troppe mani. “Eureka” e le Sturmtruppen e il Gruppo Tnt e l’inchiostro che ti sporcava le dita. Il Guardiano del Faro, la musica ipnotica del moog. Il colore dei Settanta era il piombo del cielo. Le serrande chiuse, le sirene, le molotov e le Fiat 850 che bruciavano. “Alzati e vai a spegnere il televisore”, in bianco e nero. Era finita Canzonissima, per l’ultima volta». Questo l’incipit di Larepubblica delselfie.DallamegliogioventùaMatteo Renzi, l’ultimo, importante libro di Marco Damilano (Rizzoli). Apparentemente è un brano nostalgico (tutto il libro è anche un album di ricordi: canzoni, programmi tv, sapori perduti…), ma c’è quel Vuoto iniziale con cui bisogna fare i
I «conti. Il vuoto è il patto che sta alla base di ogni convenzione politica, è ciò che permette ai nomi di sostituire le cose e, ora, alle immagini di sostituire il tutto. Il vuoto significa, ovviamente, anche lo svuotamento, la fine delle grandi narrazioni ideologiche, e il potere non aspetta altro che ci sia un prosciugamento per riempire lo stagno in cui viviamo di altre cose, non necessariamente politiche, ma ancora più temibili in quanto forme surrettizie della politica.
LA PAROLA “REPUTAZIONE”. In poche righe Damilano riassume in maniera mirabile il cammino della democrazia italiana. «La prima Repubblica era rappresentanza» (dopo gli anni tetri del fascismo, la partecipazione alla vita pubblica passa attraverso l’elezione di un corpo politico incaricato di trattare gli affari generali di uno Stato); «Il berlusconismo è stato rappresentazione» (la società contemporanea è sottoposta a flussi di dematerializzazione in virtù dei quali i processi di simulazione hanno annullato qualsiasi riferimento al concetto tradizionale di realtà; così la politica diventa un genere televisivo); «Il nuovo potere è autorappresentazione, una selfie-Repubblica» (molti outsider politici negli ultimi anni sono riusciti a fare della disintermediazione la loro forza: via le mediazioni, via i filtri, via i corpi intermedi; resta solo la propria immagine come garanzia). Con Matteo Renzi, sostiene Damilano, siamo passati dalla Repubblica dei partiti alla Repubblica del Selfie: «Con il volto del premier ossessivamente in primo piano. Con istituzioni rifatte a sua misura… Un sistema politico con un unico viso illuminato e attorno una serie di facce comprimarie». Così la parola più rilevante nella Politica 2.0 non è più autorevolezza ma reputazione, la più ambigua e ondeggiante delle qualità personali.