Quei falegnami brianzoli amati da Le Corbusier
Da “maestri del mobile” a icona dell’industrial design, la stirpe familiare ha creato uno stile imitato e apprezzato a livello internazionale. Collaborazioni con archistar come Gio Ponti, Starck, Lissoni, Dordoni hanno prodotto collezioni senza tempo, che
Questa è una storia di grandi nomi dell’architettura o del design e— accanto, ma altrettanto importanti — di figure rimaste anonime, identificate come tuttora si usa in Brianza: il “legnamè”, il “tappezzè”, insomma operai nell’industria del mobile che ha fatto la fortuna di quelle terre. Affonda in una lontana tradizione di competenze: venivano da queste parti quelli che intagliarono, nel 1759, il pulpito del Duomo di Como, erano “maestri falegnami” e di cognome facevano Cassina. Cassina si chiama anche la ditta di cui si parla qui, anche se manca una traccia documentariadellaparentelaconquei“legnamè” antichi. Bisogna fare un salto avanti di oltre un secolo e mezzo. Affacciarsi in una palazzina in via Solferino, vicino al municipio di Meda dove, nel 1927, nasce la ditta che, anni dopo, inaugurerà in Italia l’“industrial design”. A crearla sono due fratelli, Umberto e Cesare, e la intestano al padre, falegname anche lui: “Cassina Amedeo”. Ancora, in realtà è una semplice bottega: due locali al piano terreno, mentre Cesare abita al primo. I giovanotti ( Umberto è nato nel 1900, Cesare nove anni dopo) sono ben affiatati. Col tempo, i ruoli si preciseranno ancora meglio: al primo tocca l’amministrazione e l’hardware, si potrebbe dire, della falegnameria, al secondo la parte progettuale, la ricerca, la creatività. Del resto, si è coltivato in questa direzione: a Milano ha imparato anche il mestiere del tappezziere, nel negozio Pedretti, sui Navigli, poi è tornato in Brianza e si è raffinato come “tappezziere finito” nella bottega dello zio Gilberto. Certo, capiterà spesso che Umberto freni gli entusiasmi di Cesare, ma il contrasto non degenera mai, sembra quasi scontato come ricetta di buona gestione.
Nel primo catalogo, l’Amedeo Cassina si presenta come “Fabbrica Tavolini”. E, in effetti, ne fanno di parecchi tipi diversi: con una certa fantasia, di lusso, foderati con stoffe pregiate. In via Solferino si cura soltanto la tappezzeria e la rifinitura. Il grosso del lavoro è appaltato ad artigiani esterni, secondo una divisione dei compiti che resterà a lungo tipica nella zona.
Quei salotti per le colonie. Non passa molto tempo, però, che questo eclettismo — in genere ispirato a un gusto francese e inglese di fine ’ 800— lasci spazio anche a prodotti più curiosi. Sempre di tavolini si tratta, ma talvolta caratterizzati da spigoli sconcertanti, da forme che in qualche modo alludono alle avanguardie artistiche, al cubismo. Sono segnali importanti, preludono ai cambiamenti. Intanto, dopo il 1930, la gamma della produzione viene, da un lato, semplificata, dall’altro ampliata a poltrone ( in realtà una di queste è già stata creata nel 1927) e salotti. Nel 1935, poi, cambia la ragione sociale che diviene “Figli di Amedeo Cassina”. Il fatturato s’impenna grazie alla breve avventura imperiale nazionale: piovono le commesse per salotti destinati ai nostri “coloni” dagli agenti di Tripoli o dell’Asmara. Poco dopo, viene anche acquistato il terreno per costruire un vero stabilimento, è in via Busnelli ( dove Cassina è ancor oggi, dopo un grande ampliamento a fine anni 50). Si fa inoltre ricorso, per la prima volta, a un progettista esterno: è l’architetto Paolo Buffa, interprete dello stile all’epoca in voga, “italiano razionalista”. È il periodo in cui vengono anche comprati dei nuovi macchinari, adatti a lavorare particolari tipi di legname: resteranno imballati per tutta la guerra ( nel corso del conflitto, la produzione diminuisce ma non s’interrompe, anche
La produzione industriale vera e propria inizia nel 1946 e coincide con la fornitura di arredi navali per grandi transatlantici comelo svedese Stockholm. Inizia così il rapporto con grandi architetti che daranno vita al successo del design italiano
perché la sede di via Busnelli viene requisita per ragioni belliche). Risparmiata da bombe e combattimenti, appena torna la pace la Cassina può ripartire a pieno ritmo. E mettere in funzione le attrezzature congelate per quasi un decennio. Incombe la grande svolta, anche se, fino alla fine degli anni Cinquanta, i manufatti rimangono anonimi, senza una firma a identificarli. Può sembrare curioso, ma le firme arrivano via via che procede una vera e propria industrializzazione. La prima mossa in questa direzione risale al 1946, quando inizia la collaborazione con Franco Albini e si comincia a pensare a produzioni seriali. Il passo decisivo coincide con la stagione delle forniture navali. È un aspetto oggi abbastanza dimenticato della ricostruzione e del boom
economico. All’inizio degli anni 50, infatti, la rinascita della nostra flotta commerciale viene vista come un importante veicolo di propaganda del gusto italiano. Gli aiuti del piano Marshall permettono un programma imponente: quattro transatlantici destinati alla rotta verso le Americhe ( Giulio Cesare, Augustus, Andrea Doria, Cristoforo Colombo), altri sette grandi piroscafi per collegare l’Italia all’Estremo Oriente e all’Oceania. Nomi importanti del nascente design nazionale vengono chiamati a progettare i lussuosi interni delle navi. E la Cassina ha una parte notevole: collabora con architetti e designer come Gustavo Pulitzer e Nino Zoncada, soprattutto avvia in questo campo il rapporto — che sarà lungo e prolifico — con Gio Ponti, il quale già negli anni Trenta aveva condotto, dalle pagine di Domus, il dibattito sul rinnovamento degli arredi navali. Per inciso, va notata una coincidenza curiosa, è sempre Cassina ad arredare lo Stockholm, il transatlantico svedese con cui il Doria, il 25 luglio 1956, avrà, al largo di Nantucket, uno dei più discussi incidenti navali della storia. Tornando a Ponti, gli archivi aziendali conservano l’interessante traccia del rapporto fra l’architetto ( e lo stesso capita con altre grandi firme) e i “falegnami”, in ditta si continua a chiamare così gli operai. Esemplare è una lettera del gennaio 1967, in cui Ponti indica— più che minuzio- samente— le caratteristiche delle sue sedie “Superleggere” che verranno esposte a Parigi, alle Galeries Lafayette. In altri casi, la discussione verte sui legnami impiegati: « C’è una continua tensione, anche fruttuosa, che nasce dalla resistenza dell’indole artigianale alle innovazioni repentine portate dai grandi professionisti » , nota Barbara Lehmann, responsabile dell’archivio storico aziendale, che ha steso alcuni saggi all’interno del ricco volume Made in Cassina, curato da Giampiero Bosoni per Skira.
Negli Anni 60 cominciano le innovazioni tecnologiche e avviene l’incontro con i grandi maestri di stile
La storica collezione “LC”. Proprio qui, nell’introduzione di Bosoni viene scandita l’evoluzione del marchio: « Gli anni Sessanta sono anche un periodo di grandi innovazioni tecnologiche che la Cassina, per quanto fortemente legata alla lavorazione del legno ( dove detiene un indiscusso primato), non si lascia sfuggire » . Nel 1965, infatti, l’azienda mette a segno un colpo memorabile ( e quest’anno il cinquantenario verrà ricordato in grande stile, sia con eventi sia con innova- zioni di prodotto, anche eco- compatibili), ovvero il contratto per produrre i primi quattro modelli di Le Corbusier, Jeanneret e Perriand, dando il via alla Collezione LC che, nel corso degli anni, si è arricchita e rinnovata ( ad esempio, l’attuale rivisitazione della “palette” di colori, con nuove tonalità individuate da ricerche negli archivi e nei musei). L’accordo venne siglato quando Le Corbusier era ancora vivo, e sancì il riconoscimento del grande maestro per la capacità industriale dell’azienda italiana. Da allora, lo stabilimento di Meda cominciava a produrre e lanciare sul grande mercato modelli— uno per tutti: la riedizione della celebre “Chaise longue”— che avevano fatto la storia dell’arredamento, caratterizzati da innovazioni tecniche e formali di assoluto rilievo. La storia continua. Sempre al passo coi tempi, coinvolgendo altri grandi designer come Piero Lissoni, Rodolfo Dordoni, Philippe Starck. Contributi che rappresentano altrettanti esempi della capacità aziendale di « lavorare all’interno della cultura del progetto, oltre le mode » , come osserva Clino Trini Castelli in un altro dei saggi di Made in Cassina.
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