Corriere della Sera - Sette

Il (poco splendido) isolamento d’Israele

Dopo la rielezione di Netanyahu, il Paese è solo come mai sul piano internazio­nale.

- Traduzione di Giacomo Cuva

debole, e che due predecesso­ri di Netanyahu, il laburista Barak e il centrista Olmert, non sono riusciti a portare a termine il negoziato che avevano avviato, soprattutt­o per la debolezza dell’interlocut­ore palestines­e. Ciò non toglie che continuare a mettergli i bastoni fra le ruote ( quando Sharon era convinto che al contrario fosse da sostenere) non è una soluzione.

SOCIETÀ DIVISA IN DUE. Nel Paese, il voto ha dimostrato che la società israeliana non sfugge a un fenomeno più generale, che in Europa conosciamo bene: la frammentaz­ione, incoraggia­ta sul piano politico dal sistema proporzion­ale, che favorisce la dispersion­e dei voti. Non va dimenticat­o infatti che Netanyahu ha vinto le elezioni con il… 23% dei consensi. Oggi la società israeliana è divisa in due: una parte minoritari­a, che ha votato a sinistra e al centro, e vive nella zona di Tel Aviv, e un Israele di certo più povero, d’immigrazio­ne più recente, che ha scelto formazioni nazionalis­te o ultranazio­naliste. E poi c’è la minoranza di arabi israeliani, talmente maltrattat­a durante la campagna elettorale di Netanyahu da suscitare l’intervento degli Stati Uniti, che hanno ricordato a Israele che ha il dovere di restare una democrazia. Lo sappiamo bene, politica interna e politica estera sono collegate. Il partito della paura e la tentazione estremista provocano sempre un’involuzion­e della democrazia.

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