Leggere è un’arte che si impara andando a bottega
I ragazzi, assorbiti da videogiochi e telefonini, rifiutano i libri, giudicandoli pesanti e noiosi Ma contagiarli con l’entusiasmo è possibile
Giusi Marchetta e il metodo per far amare i libri
Ecco Giulia, 15 anni, figlia di genitori con tanto di laurea. In casa, una parete « interamente ricoperta di classici, collane complete, storiche e non » ; sul mobile all’ingresso « due quotidiani, Internazionale, l’Espresso, il Venerdì » . Avercene di famiglie così. Ma lei queste cose non le vede: la sua stanza è popolata da riviste con domande sul sesso, dall’ iPod « su cui ascolta sempre la stessa canzone » , dal computer e dal cellulare sempre accesi. Le chat di Facebook e di WhatsApp « trillano mentre Giulia mangia, studia, dorme » . I libri, racconta Giusi Marchetta, giovane prof di Lettere e scrittrice di valore, nel suo piccolo ma prezioso Lettori si cresce ( Einaudi, pagg. 168, € 14,00), « non le servono, non parlano a lei e di lei » . Il suo è « un cinismo opportunista e ingenuo al tempo stesso » : ciò che desidera è essere felice, e il mondo intorno glielo sta insegnando: « deve possedere qualcosa che la renda bella, appagata, e che le confermi che tutto gira intorno a lei » . Ha assimilato che « leggere è noioso, difficile e non cambia le cose. Leggere non ti diverte e non ti rende felice » . E perciò lasciamo perdere. Del resto, non è stato il grande Pennac a sostenere che « il verbo leggere non sopporta l’imperativo » ? , rinfaccia tutto trionfante a Giusi un suo alunno, un altro quindicenne, quella lenza di Polito. Lo ha appreso dalla supplente appena uscita di classe, ignara del danno che ha fatto riportando questa massima. C’è scritto in un libro, no?, sembra sottintendere Polito, radioso. Di uno scrittore celebre. E allora è vero: abbiamo ragione noi che non vogliamo leggere. Non ci interessa. Ma non è tutto qui: ecco un’aula magna « di una minuscola cittadina della provincia campana » . Oggi avviene un evento speciale: è arrivata da Torino la figlia della prof, prof anch’essa e per giunta scrittrice, per l’appunto Giusi, a « spiegare esattamente perché dovrebbero leggere » . Non sa cosa la aspetta. O forse lo sa, ma ha sottovalutato la situazione: le sembra facile, i quaranta ragazzi attendono in silenzio, dopo la baraonda della scelta dei posti. « Allora: a chi piace leggere? » , esordisce Giusi. Un autogol: mutismo tombale e nessuna mano alzata. Possibile? Un piccoletto in prima fila, rosso di capelli, esordisce: « A me non piace proprio » . Uno a zero per lui. Lei lo rintuzza, con un che di paternalistico nel tono: « E perché non ti piace? » . Quello ha la risposta pronta: « Perché è noioso » . Due a zero per lui. Si alzano altre voci, in un mormorio diffuso: « È difficile. Troppo. Fa venire mal di testa » , continua il piccoletto. « E poi non me ne importa proprio niente di leggere i libri » , conclude. « Insomma: non ne vale la pena » . Tre a zero per lui, assieme a un applauso sfrenato dei compagni. E però, dietro il faccino grazioso e gentile, Giusi è una che non si perde d’animo. Incassa e risponde.