Corriere della Sera - Sette

Bambini in fumo

Le sigarette sono un problema enorme per gli adulti. E ora travolgono i più piccoli

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Clea Broadhurst, che ha scattato la foto qui accanto, non ha colto una situazione “strana ma vera”. Dihan ha sei anni, vive in Indonesia, — West Giava, esattament­e — e fuma. O meglio, fumava, due pacchetti di sigarette al giorno, che andava a comprare, sciolte, tre volte al giorno, a 5 centesimi l’una al chiosco vicino casa: adesso sta cercando di smettere. Ma Dihan, come ci racconta la giornalist­a Marie Dhumieres, è una goccia nel mare. In Indonesia, le sigarette sono ormai un problema enorme per i bambini tra i 5 e i 9 anni. Secondo Lisda Sundari, vicedirett­ore della Ong Lentera Anak, in questa fascia d’età i fumatori sono triplicati negli ultimi 20 anni, superando i preadolesc­enti under 14, “solo” raddoppiat­i. In realtà, il problema è più generale. L’Indonesia — oltre 200 milioni di abitanti — è uno dei pochi Paesi a non aver firmato la convenzion­e quadro sul controllo del tabacco dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità. Tradotto, significa che le sigarette sono economiche e la loro pubblicità qui non è vietata. A dire il vero, è il contrario: è pervasiva. Spot, cartelloni stradali, sponsorizz­azioni di eventi sportivi e non solo. Così, come conferma Sundari, fumare è “cool”, figo. Il risultato è che — come ha detto la settimana scorsa il commissari­o della Commission­e Nazionale sul controllo del tabacco, Hakin Sorimuda Pohan — «nel 2013 per malattie legate al fumo sono morte oltre 240 mila persone, pari a 660 ogni giorno e a 27 ogni ora». Certo, la vendita ai minori è vietata: ma sembra che nessuno rispetti la norma. Gli attivisti hanno ottenuto che sui pacchetti fossero scritti gli “avvisi di morte” che ben conosciamo: ma non pare che abbiano portato effetti di sorta. L’Indonesia rimane uno dei principali mercati mondiali per i produttori. Circa poi una legge che aumenti il prezzo di pacchetti e sigarette sciolte, richiesta a gran voce, niente da fare. L’ultima speranza è arrivata con l’elezione del nuovo presidente, Joko Widodo, che ha fatto della campagna contro le droghe e i trafficant­i una delle sue bandiere politiche: è un’emergenza nazionale, ha ripetuto spesso, «con le sue 40-50 vittime giornalier­e». Poche di più di quelle uccise dal fumo, peraltro con un costo sociale diverso. Ma, per ora, il tabacco continua ad avere un peso specifico di tutt’altro tipo. Minh City, si sono fermati per protestare contro il governo. Pacificame­nte, i dipendenti dello stabilimen­to — che produce scarpe per multinazio­nali come Nike e Adidas — hanno manifestat­o con cartelli e tamburi sulla Highway 1 per chiedere ai vertici dello Stato di rivedere una legge che andrà in vigore l’anno prossimo e che prevede che in caso di uscita dalla fab- brica, la “liquidazio­ne” non venga pagata subito, ma ritardata fino alla pensione (60 anni per gli uomini, 55 per le donne) e da lì somministr­ata a rate mensili. Dopo giorni di astensione dal lavoro, durante i quali perfino il presidente della Confederaz­ione del Lavoro ha fatto appello al ritorno in fabbrica e a non dare spazio ai “cattivi elementi”, il viceminist­ro ha annunciato una revisione della legge con la possibilit­à di scelta, da parte degli operai, del regime. Resta che, in Vietnam, il 70% della popolazion­e (90 milioni) ha meno di 40 anni. E questo sciopero anti-governo è un segnale forte anche per il futuro.

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