Diego Gabutti
Protagonista di tre noir ambientati a Torino
Tra i due non ci fu poi tutta questa differenza. Sigmund Freud tastava i « bernoccoli » dell’anima ai nevrotici; Cesare Lombroso li cercava sulla testa dei criminali, dei « cretini » e dei « degenerati » . Entrambi positivisti persi, entrambi studiosi di condotte borderline, entrambi padri fondatori di dottrine pseudoscientifiche confutate dalla scienza, a Freud è stato eretto più d’un monumento, a Lombroso niente. Eppure anche l’antropologia criminale, come la psicanalisi, fu un tentativo generoso, per quanto farlocco, di venire a capo degli enigmi della condizione umana. Che meritasse, per la sua originalità e la sua eleganza, più attenzione di quanta gliene è stata concessa, è dimostrato sia dalla pubblicazione, con una presentazione d’Armando Torno, dell’ultima edizione ( 1897) dell’Uomo delinquente nella prestigiosa collana Bompiani “Il pensiero occidentale”, fondata e diretta dal compianto Giovanni Reale, scomparso pochi mesi fa, sia dall’apparizione in libreria di ben tre noir usciti quasi contemporaneamente, nei quali il teorico dell’atavismo e della devianza è a caccia di serial killer: L’uccisore ( Rizzoli 2015, pp. 368, 17 euro) del criminologo e medico legale Gino Saldanini, La ruga del cretino ( Garzanti 2015, pp. 368, 16.40 euro) d’Andrea Vitali e Massimo Picozzi, e l’opera prima dell’inglese Diana Bretherick, L’enigmatico caso di Cesare Lombroso ( Newton Compton 2015, pp. 380, 9,90 euro).
Servizi segreti vaticani. Come Freud nel classico Soluzione sette per cento ( Rizzoli 1976) di Nicholas Meyer, da cui fu tratto un celebre e fortunato film di Herbert Ross con Vanessa Redgrave e Alan Arkin, anche Lombroso meritava la parte del detective in un mistery, visto che di crimini e di criminali si occupò per tutta la vita. Tre misteries contemporaneamente sono magari troppi, ma nell’ultimo secolo ci si è occupati talmente poco di lui, se non per sorridere dei suoi spropositi scientifici e filosofici, mentre l’intellighenzia di tutto il mondo s’inchinava fino a terra per rendere omaggio ai suoi rivali, che il criminologo torinese, con le sue collezioni di teschi di briganti calabresi e di organi interni sotto spirito, ancora non è anda- to pari. Con la sua teoria dell’atavismo — cioè della « ricomparsa improvvisa e inattesa in un lontano discendente di caratteristiche fisiche e intellettuali che non risalgono ai genitori o avi diretti, ma sono legate a generazioni remote » , come ha scritto lo storico e ordinario di medicina legale Pierluigi Baima Bollone nel suo Cesare Lombroso ( Priuli& Verlucca 2011) — l’autore di Genio e follia cerca di spiegare l’inspiegabile: il lato oscuro della civilizzazione, le classi pericolose, la violenza politica e criminale, gli evidenti “bug” del software umano.