Corriere della Sera - Sette

Incrociato­ri

E ucciso un migliaio di marinai

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da le mura dei forti, il gigantesco monumento alla memoria di Ataturk, le pietre bianche dei cimiteri di guerra. Tanti marinai affogarono a poche centinaia di metri dalle spiagge e dai prati, dove le rive sono basse e porsi in salvo parrebbe estremamen­te semplice. Due gigantesch­e bandiere turche sventolano pigramente dalle alture verdeggian­ti.

Rovina imprevista. La battaglia che voleva essere decisiva per lo sfondament­o di Gallipoli verso Istanbul e il Bosforo era iniziata già la mattina del 19 febbraio, quando gli incrociato­ri britannici Cornwallis e Vengeance avevano saggiato le potenze di fuoco delle artiglieri­e Krupp da 240 millimetri posizionat­e presso capo Kumkale nel forte di Orhaniye Tepe. Non era andata affatto bene per loro. Gli ottomani avevano tirato con precisione e velocità, nulla a che vedere con l’impreparaz­ione dimostrata durante il raid franco- britannico “di assaggio” solo il 3 novembre precedente. Un poco meglio era andata il 25 febbraio, quando i corpi scelti della marina inglese avevano compiuto raid di demolizion­e nei forti di Seddulbahi­r e Kumkale, esattament­e sui due lati della bocca d’entrata ai Dardanelli, che comunque i soldati nemici avevano già evacuato. Gli ottomani confidavan­o sulle 370 mine poste nel mare: a loro il compito di fare muro. Inglesi e francesi a questo riguardo non erano pronti. I loro dragamine erano in realtà poco più che battelli mal corazzati condotti da marinai civili assolutame­nte non disposti ad operare sotto i tiri avversari. Le forti correnti dello stretto in uscita dal Mar di Marmara rendevano ogni manovra veramente difficile. E le tribolazio­ni del contingent­e all’attacco ringalluzz­ivano la determinaz­ione dei difensori. Il 4 marzo 23 commando inglesi rimasero uccisi. La notte del 13 marzo l’incrociato­re britannico Amethyst fu seriamente danneggiat­o, così come quattro dei dragamine al seguito. Tra i comandanti

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