Storia di un cappellano preso di mira dagli austriaci
Una lettrice ha poca stima per gli scienziati “ossequiati”. Un’altra ci spiega perché esistono guerre di serie A e di B
Affezionato e attento lettore di Sette, mi permetto suggerire un fatto straordinario accaduto nel novembre del 1915. In breve: siamo a Torcegno (Valsugana); il parroco viene internato dagli austriaci e il paese è affidato alla cura del cappellano, don Guido Franzelli, tenuto d’occhio dalla gendarmeria per i suoi sentimenti italiani. Presagendo il suo arresto e ricevutane conferma, la sera del 18 novembre — preoccupato per la sorte della Sacra Specie, consacrata il giorno prima — incarica il vecchio sacrestano di passare casa per casa invitando i futuri profughi a recarsi l’indomani in chiesa per la consumazione dell’Eucarestia, affidandone la distribuzione, fatto estremamente straordinario per quei tempi, alle mani del piccolo settenne Almiro Faccenda. Ciò che avvenne.
— Giulio Candotti
Ho letto con interesse l’articolo apparso su Sette (n. 4) da lei scritto e quello di Vigna, ad esso correlato e vorrei farle una obiezione, che, secondo me, non viene frequentemente o sufficientemente sollevata. Già da tempo il nostro ‘“eroe” è lo scienziato; di conseguenza la scienza — o meglio il metodo scientifico — è già considerata la “risposta a tutte le cose”. Un piccolo ma significativo esempio: pochi giorni fa, su Prima pagina, trasmissione mattutina di RadioRai3, un suo collega, parlando della Terra dei fuochi, ha ferocemente azzittito l’ascoltatore che aveva dubbi sulla non-nocività dei prodotti di quelle zone, dicendo perentoriamente: «La scienza ha detto che questi prodotti sono sani», per ben 3 volte. È vero che, in televisione e sui giornali, soubrette, calciatori o affaristi vari sono di gran lunga più presenti e, ahimé, spesso rappresentano modelli emulati, ma già da tanto tempo, anche la parola “scienza” o “scienziato” fa subito scattare in noi una riverenza incondizionata. Pochi si permettono di dissentire dai loro discorsi, pochi mettono in discussione le loro teorie o le loro “ricerche”, ancor meno giudicano i loro eventuali difetti umani (potrebbero essere arroganti, avari, snob, come tutti noi). Del resto, come potrebbe essere giudicato male uno che «passa giorni e notti tra noiosi esperimenti», o «riflette anni su una formula», per di più sottopagato? Costui non può che essere un “Eroe”, perché è in cerca della Verità, non per se stesso — naturalmente — ma per tutta l’Umanità. Amen. Questo è Santità, oltre che Eroismo! Poi stampa e media vari (come il suo articolo e quello di Vigna) si ostinano a farci ritenere che lo scienziato sia “disinteressato”, (e “assetato di conoscenza”!!!). La scienza, quindi lo scienziato, non è mai disinteressato, mai neutrale: infatti essa muove imperi finanziari in determinate direzioni e non in altre. Il fatto che poi molti ricercatori, ritenuti tutti delle “eccellenze”, “dei geni incompresi”, siano costretti ad emigrare non fa che aumentare il loro prestigio e la loro eccezionalità, che non è detto che si meritino. In conclusione, siamo già circondati da “scienziati” riveriti e ossequiati, e quindi la “svolta epocale” è già avvenuta. Purtroppo, aggiungo io. Perché si rischia di guardare verso un’unica sola direzione, già conosciuta e tracciata, e che ha portato a risultati poco edificanti.
— Raffaella Paci , Urbania (Pesaro-Urbino)
Dopo avere letto l’editoriale “Mediterraneo da vivere” ( Sette n. 8) desidero proporre una mia riflessione. Certamente esistono «guerre di serie A e guerre di serie B»: le prime sono quelle che giungono sotto i riflettori dei mass media perché interessano l’Occidente. Per un momento le telecamere hanno inquadrato la realtà dei bambini addestrati come piccoli soldati o delle bambine kamikaze, un’assurdità. Ma quante storie ancora d’infanzia bruciata! Sono tantissimi i drammi che ignoriamo, come quello delle migliaia di minori, in India, reclutati per “impollinare” con le loro piccole mani le piante di cotone ogm perché i pesticidi hanno ucciso le api: sopravvivono in condizioni inumane. Così come ci sono milioni di bambine in Bangladesh che — costrette dalla miseria ad essere appetibili prede del turismo sessuale — assumono le “pillole delle mucche”, steroidi per apparire già donne. E che dire delle giovanissime operaie nelle Maquilas messicane, fabbriche-lager in cui si assemblano i gioielli tecnologici che il Primo Mondo può poi avere a prezzi low cost? Un paradiso per le multinazionali. Nelle guerre — come lei scrive — «contano le fonti energetiche e i giacimenti di materie prime, gli accessi strategici e le rotte commerciali», ma forse esiste un altro motivo, c’è la possibilità di mettere i popoli in ginocchio facendoli diventare manodopera a basso costo. Se la forza lavoro costa poco il profitto lievita. La tentazione di ridurre l’umanità in schiavitù è insita nella fede cieca nel dio-profitto ed è un’eredità degli Imperi coloniali. Perché queste storie di ordinario sfruttamento non emergono? Forse se fossero illuminate scopriremmo il cuore di tenebra del Vecchio Continente. Meglio portare in video guerre di serie A. Di queste, poi, vediamo solo ciò che si vuole sia in luce, molto resta fuori scena: scegliere un’inquadratura piuttosto che un’altra contribuisce a costruire una narrazione e a suggerire un’interpretazione. Noi telespettatori ci stiamo abituando all’infotainment, all’informazione che c’intrattiene. Il giornalismo rincorre lo storytelling, bisogna rendere anche la politica accattivante. Ha detto il premier che i talk show non devono essere “un’industria della lagna”, bisogna renderli frizzanti, smart, come un tweet. Tutti gli italiani sognano un 2015 felice e fertile, desiderano che l’Italia ritrovi il “ritmo” giusto; ma non basta un hashtag (#). Se la nostra immagine in Europa è quella di una giovane cameriera che, nello spot della BCE per la nuova banconota da 10€, mostra felice la sua “prima bella mancia”, c’è da porsi qualche domanda.
— Margherita De Napoli
regia di Ava DuVernay