Corriere della Sera - Sette

Chissà se Candide di Voltaire sarebbe stato Charlie?

Se i genitori di una scuola pubblica implorano il Comune di mettere in sicurezza le aule, perché dare soldi alle private?

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Eppure mi ricordo che a gennaio eravamo tutti Charlie, me compresa, e lo ero perché mi stringevo attorno alle famiglie colpite dalla strage, piangevo i morti e mi sentivo di dire che ero Charlie perché mi sentivo vittima di qualsiasi fondamenta­lismo religioso, anche se continuo a considerar­e quello un settimanal­e se non altro di cattivo gusto, lesivo della satira stessa, dissacrant­e nel senso etimologic­o della parola, che rende, cioè, profano ciò che è sacro, carico di senso, di qualsiasi religione si parli. Ecco, una parte di noi, invece, era Charlie in nome della libertà di parola, portando in avanti le immortali parole di Voltaire, per cui non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita perché tu possa essere nelle condizioni di poterlo dire. Qualsiasi cosa abbia da dire. Perché la libertà di parola è un principio che prescinde da qualunque impalcatur­a o cornice morale, figurarsi parlare di etica inscritta in ogni atto o principio. La libertà di parola è al di là del bene e del male e si autogiusti­fica. Se non ti piace ciò che disegna Charlie limitati a non comprarlo e girati dall’altra parte. Recentemen­te, a domanda diretta, gli stilisti Stefano Dolce e Domenico Gabbana si sono detti contrari ai matrimoni e alle adozioni omosessual­i. Tempo poche ore parte il tam tam sui social network nei quali si invita ai boicottare gli stilisti, i quali si giustifica­no sostenendo che volevano dare un parere personale e che mai si sarebbero sognati di giudicare negativame­nte la scelta di altri. Ma non si accettano spiegazion­i di sorta: boicottare Dolce e Gabbana e boicottare la Barilla perché continua ad usare volontaria­mente per le sue pubblicità quella famiglia nucleare di cui parlano i nostri nella famigerata intervista e non intende cambiare. [...] Boicottare è una censura indiretta, ma è comunque una censura: se devo stare attenta ai miei contenuti perché la pena è non vendere ciò che produco e finire alla gogna mediatica, mi guardo bene dal pronunciar­mi. [...] Nei salotti della intellighe­nzia televisiva italiana si consuma il massacro della coerenza intellettu­ale, che non mi permette di dire che Rocco Siffredi ha una condotta di vita opinabile perché la libertà di scelta esistenzia­le è assimila- bile alla libertà di parola, è al di fuori dalle categorie morali e, quindi, incriticab­ile. Non guardare i suoi film, se proprio non ti va a genio. In quegli stessi salotti si apostrofan­o le suore di clausura come represse, per loro l’incriticab­ilità non vale. In questi programmi, dove molto spesso le interviste si riducono ad una piaciona chiacchier­ata tra amici, ecco che la scelta della clausura diventa opinabile. IO SONO CHARLIE, ma non proprio sempre. Io sono pronto a dare la vita per quello che sei e che pensi, ma prima è il caso di vedere se sono d’accordo. Povero Voltaire, croce e delizia dei miei anni universita­ri filosofici, [...] chissà se Candide sarebbe stato Charlie.

— Giovanna Santicciol­i

Mi è sfuggito il numero di Sette del 13 marzo con la lettera sulle scuole private che ha provocato le accorate repliche pubblicate sul numero 13 in difesa delle scuole paritarie. Incidental­mente lo stesso venerdì 27 marzo ho ricevuto, in qualità di rappresent­ante di classe, una lettera altrettant­o accorata (che vi allego) da parte della dirigenza scolastica del plesso al quale sono iscritte le mie figlie (rispettiva­mente primaria e secondaria di primo grado) con la quale si pregano i genitori di sottoscriv­ere la richiesta rivolta al Comune di Genova al fine di ottenere un aumento dei fondi destinati alla manutenzio­ne degli edifici del Municipio Ponente, date le condizione precarie in cui versano ormai da tempo. Alcuni sono stati ormai chiusi e non si sa se e quando potranno essere riaperti. Non entro nel merito dell’ormai annoso dibattito scuole pubbliche-private recentemen­te risollevat­o dal decreto legge della “buona scuola”. Sento però la necessità di rispondere al preside Fasol che con una punta di malcelata ironia sottolinea il fatto che le famiglie possano detrarre la tachipirin­a ma non le spese sostenute «per educare e formare il figlio in una scuola che risponda meglio alla loro visione del mondo». Ecco, caro Fasol, la mia visione del mondo mal si concilia con la nostre entrate di famiglia monoreddit­o da lavoro dipendente: magari una blasonata scuola privata garantireb­be alle mie figlie un’educazione di altissimo livello e invece devo firmare petizioni per chiedere al Comune di incrementa­re la stratosfer­ica cifra di circa 100.000 euro destinata annualment­e dal bilancio municipale agli interventi nelle scuole, che divisa per i 41 edifici scolastici del Ponente risulta di circa 2.450 euro ad edificio. Meno male che, oltre alla tachipirin­a per le figlie, posso detrarre anche i farmaci antiacido per noi.

— Daniela Persi

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