Corriere della Sera - Sette

Il fashion sociale di Beirut

Giovani e creativi: un progetto che coniuga passione per la moda e impegno

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Beirut. Città eccentrica, vivace, sempre all’avanguardi­a, nonostante le difficoltà di un Paese, il Libano, costanteme­nte in bilico. Ma, soprattutt­o, capitale araba del divertimen­to e della moda. Il 9 giugno, nel corso della Beirut Design Week, la settimana della moda libanese, a esporre i propri vestiti vi era un gruppo di ragazzi giovanissi­mi, con alle spalle una storia molto particolar­e. Si tratta dei primi allievi diplomati presso la Creative Space Beirut, un progetto innovativo nato dall’idea di una giovane artista e stilista di origini libanesi, Sarah Harmez. Lei ha studiato negli Stati Uniti, ma ha deciso di tornare in Libano per coniugare le sue due grandi passioni: il design e l’impegno sociale. Alla base della sua idea vi era la constatazi­one che, spesso, il mondo della moda appartiene più a chi ha – o riesce a trovare – i soldi, che a chi possiede davvero il talento per poter portare avanti questo mestiere creativo. E’ così che ha deciso di fondare una propria scuola di moda a Beirut, cui potessero avere accesso ragazzi provenient­i dalle realtà disagiate del Paese, dai campi profughi alle aree periferich­e e povere della capitale e del Paese in generale. La scuola vive essenzialm­ente grazie alle donazioni di privati che hanno deciso di sposare il progetto e tutto è nato con una donazione da New York, consistent­e in un equivalent­e di 100.000 dollari di tessuto. Trovati tessuto e insegnanti (su base volontaria), la Harmez è riuscita a trovare anche uno stabile in cui materialme­nte fare i corsi, grazie anche all’aiuto del padre. Nel 2011, primo anno di prova, ha reclutato quattro ragazzi con l’obiettivo di insegnare loro a produrre vestiti in tre mesi. Risultato: in 90 giorni sono stati prodotti 30 vestiti. Da quel momento in poi, visto il successo del progetto pilota, la scuola è diventata strutturat­a, con insegnanti provenient­i dal Libano e da altre parti del mondo, compresi gli Stati Uniti. Si lavora come se fosse un esperiment­o continuo: non essendo un’università accreditat­a, la scuola non ha neanche obblighi di seguire regole particolar­i, per cui i corsi sono interdisci­plinari e si cambia spesso se si scoprono nuovi metodi di lavoro. Per adesso si accettano quattro studenti l’anno, sia per privilegia­re la qualità sulla quantità, sia perché i fondi a disposizio­ne non sono infiniti. Ma i primi ragazzi diplomati, e pronti per entrare nell’industria della moda, hanno esposto i propri vestiti per venderli e poter finanziare ancora il progetto. Basta dare un’occhiata al sito internet della scuola per vedere l’originalit­à e la creatività degli abiti. E così, in questo modo, a Beirut si cerca di coniugare lo sviluppo sociale con quello del design.

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