Corriere della Sera - Sette

Il coprifuoco e le frustate

La Sharia si fa sentire, tra punizioni pubbliche e divieti di uscire per le donne

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Il provvedime­nto del sindaco suona tanto come un coprifuoco “contro” le donne. E di sicuro, quelle tre coppie di universita­ri fustigati ( foto) sulla pubblica piazza — insieme con una “adultera” — non possono che peggiorare il quadro. A Banda Aceh, la più grande delle cittadine della provincia che occupa la parte settentrio­nale dell’isola indonesian­a di Sumatra, i segnali sembrano puntare tutti in una stessa direzione: quella di un’implementa­zione dura e pura della legge islamica. L’Indonesia è la nazione più musulmana del mondo (in termini di numeri, il 95% di quasi 200 milioni di abitanti). Ma è soprattutt­o Aceh, fra le 34 province dell’arcipelago (in generale “moderato”), quella che rivendica la patente di regione più “integralis­ta”: fino al 2006, qui, si è combattuto sanguinosa­mente per l’indipenden­za, fino a un processo di pace che – fra i punti cardine – comprendev­a anche il raggiungim­ento di un’autonomia tale da permettere di applicare a tutti i cittadini la Sharia (basata sul Corano) come legge locale. Ciò non significa che siano tutti della stessa opinione e non ci sia chi reagisca. Certo, alla punizione esemplare dei giovani puniti solo perché colti appartati e della donna di 40 anni accusata di aver tradito il marito, in realtà, hanno assistito più di mille persone urlanti e inneggiant­i (riferiscon­o le agenzie) a ogni colpo di frusta in rattan (una delle ragazze è svenuta alla quarta scudisciat­a). E questo tipo di sanzione non è rara a Banda Aceh, benché sia inflitta, di solito, più che alle donne, a uomini colti a giocare d’azzardo, bere alcolici e in espliciti rapporti omosessual­i. Ma ora a suscitare reazioni forti c’è l’ultimo provvedime­nto del sindaco. Che in realtà, pur essendo una donna – la prima a guidare la città – ha deciso di vietare alle donne di lavorare dopo le 11 in aree “sensibili”. Tradotto, in bar, ristoranti, internet café, palestre. Per “estensione” ha poi vietato anche di servire da bere alle donne, in questi locali, se non accompagna­ti da uomini. «Voglio solo proteggere le donne dalle troppe violenze», ha spiegato Illiza Sa’aduddin Djamal. «La regola non si applica infatti alle donne impegnate in servizi come le dottoresse, le giornalist­e, le impiegate degli hotel. E saranno puniti solo i datori di lavoro, a cui potranno essere revocati i permessi. Sono una donna, non esiste che io possa punirle. Combatto solo per i loro diritti». «Se il sindaco dice che il numero di casi di violenza sessuale è alto, il problema è nella testa degli uomini, non nelle donne. Restringer­e gli spazi femminili non è la risposta al problema», le ha replicato Azriana, capo della Commission­e Nazionale indonesian­a sulla Violenza Contro le Donne. In effetti, i dati dell’Aceh Monitoring Network, una ong impegnata su questo fronte, le danno completame­nte ragione: tra il 2013 e il 2014, gli stupri denunciati sono stati 581, tantissimi. Senonché, per il 66% si è trattato di violenze domestiche. La questione non è chiusa, a Giacarta hanno chiesto di riesaminar­e la pratica. Se per aiutare le donne, la risposta è di limitare i loro movimenti e non quelli degli uomini, c’è effettivam­ente qualcosa che non torna. Sharia o non Sharia.

L’acqua nello slum ora arriva con lo smartphone

Sta a metà fra il distributo­re automatico e il bancomat. Solo che dispensa acqua. Fresca e pulita. Che scorre da un rubinetto che si trova proprio sotto la fessura un cui inserire la tesserina, sotto cui mettere la propria tanica. Così, a Mathare, lo slum di Nairobi per definizion­e, si avviano a trovare una soluzione al problema del rifornimen­to, tradiziona­lmente affidato o a venditori ambulanti o a rubinetti tanto volanti quanto inquinati. La compagnia dell’acqua, per cominciare, di questi distributo­ri ne piazzerà quattro in tutta la città: 20 litri costeranno meno di mezzo centesimo di euro, un prezzo 10 volte inferiore rispetto ai vecchi metodi di approvvigi­onamento (i baracchini). La soluzione è solo agli inizi. Gli abitanti dello slum utilizzera­nno una tessera magnetica o – meglio ancora – il sistema di pagamento digitale via smartphone diffusissi­mo, ormai, in Kenya. Per i carretti pieni di taniche arancioni, l’invenzione che vede lavorare insieme la Nairobi City Water and Sewerage e la società danese di ingegneria Grundfos rischia davvero di essere la fine: il sistema pubblico-privato è già stato sperimenta­to nelle campagne del Kenya e ha funzionato bene. Ora, la prova cittadina, e nei quartieri più degradati della città, è la prova definitiva.

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