Corriere della Sera - Sette

Circostanz­e misteriose:

Ucciso in forse colpito dal fuoco amico

- Di

Fa freddo e tira vento il 20 agosto 2013 nella zona delle Tre Cime di Lavaredo. Una giornata uggiosa. Piena estate, piene vacanze. Tanti villeggian­ti sui sentieri che vengono dalla direzione di Cortina, ma pochi alpinisti impegnati sulle vie di roccia, tra le più classiche di tutte le Dolomiti. Nuvoloni neri incombono dalla Val Pusteria a nord, ogni tanto qualche goccia di pioggia giunge di traverso con le folate più potenti. Un’area dove comunque si trova gente anche tra le crode è il Monte Paterno. Quasi 2.800 metri d’altezza, però una cima tutto sommato facile rispetto a quelle molto più austere che le stanno di fronte, composta di roccia a tratti friabile, “marcia” come dicono gli arrampicat­ori. Tre o quattro gruppi di escursioni­sti si affollano sulla cima, altri sono visibili lungo le creste turrite, ricche di cenge e anfratti. Il motivo di tanta affluenza nonostante il brutto tempo? Semplice, le due vie ferrate che da nord a sud permettono di salire e scendere con relativa facilità le due creste principali. E uno dei panorami più belli dell’arco alpino. Il Paterno fu una delle cime contese tra italiani e austriaci sin dai primi giorni delle battaglie sulle montagne nel giugno- luglio 1915. Le truppe scelte dei due eserciti vi scavarono gallerie, allargaron­o le cenge, piantarono le corde fisse, ricavarono in piena parete le postazioni per le artiglieri­e, i depositi munizioni, costruiron­o ricoveri e casematte dove solo poco tempo prima riposavano stambecchi e camosci. E oggi su quei percorsi storici si snodano i nuovi sentieri esposti per “EE”, escursioni­sti esperti, come riportano guide e cartine. I segni di quelle battaglie sono dovunque, indelebili, scolpiti nelle rocce. E ogni luogo ha una storia, una memoria, insieme vanno a infoltire le pagine dei libri che sempre più numerosi sono pubblicati dalle case editrici locali nelle valli, fanno parte di un’epopea che sta facendosi gigantesca, mitica, anche a costo di stravolger­e e ricostruir­e in modo spesso fantasioso i fatti accaduti cento anni fa.

L’incontro davanti alla croce. Ma ciò che più mi rimase impresso di quella salita fu incontrare proprio sulla cima la guida alpina cinquanten­ne Paul Sapelza, residente a Monguelfo di Val Pusteria. Era con un paio di clienti venuti dalla regione di Vienna. E appena giunto a sfiorare la croce piantata sulla vetta fu ben contento di indicare il nome inciso sulla sua base, Sepp Innerkofle­r, con la data della morte: 4 luglio 1915. Pochi convenevol­i, come in genere ci si scambia tra estranei in occasioni del genere, e subito rivelò il suo autentico culto per la figura del celebre scalatore. Così più o meno si svolse la conversazi­one. « Sepp per tutti i cultori di storia dell’alpinismo torreggia come un gigante. Nel 1890 salì la parete nord della Cima Piccola di Lavaredo. Nove anni dopo la parete meridional­e sulla Ovest e nel 1904 la est ancora della Piccola. Ma soprattutt­o è stata la sua morte in combattime­nto e i misteri che ancora la avvolgono a immortalar­lo alla storia » , racconta infervorat­o. La vicenda è nota, ma qui, sul luogo del suo epilogo assume un sapore particolar­e. A sottolinea­re una delle caratteris­tiche più peculiari della guerra in montagna. Quello delle Alpi non fu infatti uno scontro tra grandi eserciti. I comandi a Londra, Parigi, Mosca e Berlino lo considerav­ano un fronte secondario. Nulla a che vedere con le masse di uomini in movimento dalla Marna a Yipres, da Verdun alla Galizia e persino a scendere sino a Caporetto e all’Isonzo. Poche ore di combattime­nti durante le grandi offensive sul Fronte Occidental­e macinarono

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