Quando sono autori e artisti a descrivere la vita in trincea
Le lettere di Hemingway al padre, quelle di Ungaretti all’amico Treves o di Marinetti al futurista Buzzi. Poi i disegni del “marmittone” protagonista di tante copertine patriottiche
Parole per tenere unita l’Italia
Non erano solo gli anonimi “marmittoni” ad affidarsi devotamente al servizio postale. Il fronte e le trincee riducevano tutti a equivalenti numeri. Così, nel corso della Prima guerra mondiale, sono numerosi i carteggi fra il “Paese” e i militari che erano o sarebbero divenuti illustri. Detto per inciso, “marmittone” è uno dei non frequenti casi in cui il nome di un personaggio diviene termine comune, in questo caso il soldato semplice, spaesato e sempre vittima dei superiori, uno dei soggetti creati da Antonio Rubino, insigne illustratore del primo novecento, peraltro pienamente coinvolto nel conflitto, con i disegni per i “giornali di trincea” e con le patriottiche copertine sul Corriere dei Piccoli. Torniamo al tema. Anche per molti artisti, lettere e cartoline furono l’unico, o quasi, legame con la vita che fino ad allora avevano conosciuto. Ricordiamone, ad esempio, un paio. Ernest Hemingway venne sul fronte italiano come autista della Croce Rossa, nel 1918. Ne trasse ispirazione per alcuni dei suoi maggiori romanzi ( ad esempio, Addio alle armi e Di là dal fiume tra gli alberi) e ne ricavò anche una ferita che lo tenne a lungo in ospedale. Ne scriverà al padre, pochi giorni dopo: « Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto... E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse » . Poi, paragona lo scoppio della granata che l’ha ferito a un colpo di tosse distante: è l’immagine con cui inizia la descrizione dell’attacco nemico in Addio alle armi. Scrive spesso e volentieri anche Giuseppe Ungaretti, volontario e interventista, dai vari fronti – in Italia e poi in Francia – dove è schierato. « È un’epoca di leggenda. E il presente è infinito e non ci prende. Viviamo nell’eterni- tà, se non ci fosse il senso della materia ad abbatterci » , si legge nella missiva inviata, nel dicembre 1915, a Eugenio Treves, amico e commilitone. Ci saranno momenti molto peggiori, nel 1917, quando il reggimento di Ungaretti subirà la devastante offensiva austro- ungarica. Il poeta non è in buona salute, soffre duramente l’incertezza della situazione, è malinconico, un po’ di sollievo gli viene dalla corrispondenza con un altro commilitone e letterato, Mario Puccini. Lettere brevi, dove descrive la rotta di Caporetto ma dove tocca anche il dibattito culturale, ad esempio accenna all’accoglienza critica per Il porto sepolto. Una vena polemica affiora verso Gabriele D’Annunzio e le sue « pose plastiche in ginocchio davanti ai feretri » .
La trionfale missiva. Lorenzo Viani invia diverse cartoline a un giornalista del Corriere della Sera, Bianchi. Lì, l’artista si coniuga chiaramente al soldato, ad esempio il primo giugno 1917: « Le scrivo dopo aver compiuto due delle azioni più notevoli di questa guerra. Stamani mi sono spostato in avanti per vedere da vicino i solchi profondi del nostro andare fatale. Dietro di me vigneti che profumano il delicato “odore di vite”, ciliegi rossi e noci. Davanti la terra squarciata… L’animo oscilla tra lo spavento e la serenità. Guardando il cielo così chiaro stamani e tutta la terra fiorita ci si allontana dalla guerra… » . Per finire, si può ricordare la trionfale missiva di Filippo Tommaso Marinetti a un altro futurista, Paolo Buzzi, scritta probabilmente nell’ottobre 1918, e riferita alle imprese della squadriglia di autoblindo di Marinetti: « Cose da pazzi! La nostra squadriglia merita un tuo canto parolibero! Ho catturato tutto tutto vivissimo comandante di corpo d’armata Sono il liberatore di Tolmezzo… » .
6 - continua