UNO SCIVOLONE TRAGICO E IL RISCHIO DELL’ANTISEMITISMO
Una risposta che è sempre molto di moda, in tema di snobismi turistici, è anche quella di “viaggiare” nella propria città, come suggeriva persino l’antropologo dei non luoghi, Marc Augè, nel libro che raccoglie vari saggi a tema, edito in italiano col titolo
(Bollati Boringhieri, 1999). L’eclettico intellettuale francese suggeriva la terapia di «non perdere la traccia dell’immaginario in fuga»: con un slogan, di ritornare alla dimensione del “viaggiare” invece che continuare a «fare del turismo». Ecco, il viaggio come aspirazione dell’anti-turista è stato demolito già nel 1991 dal sociologo e antropologo Jean-Didier Urbain: l’esotismo si trova dietro l’angolo di casa. Peccato che, nella traduzione italiana del titolo, (ed. Aporie 2013), si perda un po’ del senso profondo dell’invettiva di Urbain e del titolo originale
(ed. Payot), ironica parafrasi del nomignolo “l’idiota del villaggio”. Un ostacolo che rende abbastanza controversa la riproposta di Belloc (al centro della foto con Bernard Shaw, a sinistra, e G.K.Chesterton, a destra), nonostante il fenomeno della riscoperta dei cammini come stile più genuino dei viaggi, è il suo noto saggio del 1922 su che fu tradotto anche in Italia, da Vita&Pensiero, nel 1934, quando il regime hitleriano aveva già varato il Paragrafo Ariano e avviato di fatto quella che diventerà poi “la soluzione finale”. Bisogna considerare che Belloc faceva parte del gruppo di amici e sodali di G.K.Chesterton, ovvero di quegli scrittori dichiaratamente cattolici che godevano di grande considerazione anche a Roma. A dire il vero, non manca chi si sforza oggi di sottolineare, come ha fatto lo storico Roberto Pertici, che con questo volume Belloc voleva mettere in guardia il mondo occidentale contro l’antisemitismo montante; ma il tono complessivo di quest’opera resta per tutti quello che Renzo De Felice definì “certo non spassionato”. Il curatore della nuova traduzione di che si firma con il nome dell’autore collettivo wu ming 2, liquida di Belloc come «un libro disgustoso riconducibile alla classica argomentazione: Io non sono razzista, ma loro sono un problema», ricordando che l’intero saggio del ‘22 si muove da questa frase: «Gli Ebrei sono un corpo alieno nella società in cui vivono e questo produce irritazione». Frasi simili a quelle che oggi purtroppo sentiamo risuonare variamente… anche da chi fa turismo su scala mondiale! Infine, con buona pace di Belloc, che non mostrava grande considerazione della cultura religiosa degli ebrei, non c’è introduzione a che possa eguagliare la profondità e la spiritualità dello straordinario originale di Martin Buber (ediz.it. Qiqajon, Comunità di Bose, 1990).