Una Grecia da ricostruire
Perché l’incubo del fallimento opprime Atene? Vive ostinatamente al di sopra delle proprie possibilità? No, le cause vanno cercate nella storia mondiale degli ultimi 50 anni
Provate a pensarci: si può vivere da 6 anni una vita schizofrenica, punteggiata da sacrifici e tagli quotidiani, dominata dall’angoscia ed esposta alle critiche dei nuovi intransigenti e degli interessati rigoristi, non sapendo cosa ti succederà domani? È uno stress che divora e può uccidere. Eppure, nonostante tutto, si può sperare che la Grecia si salverà dal fallimento anche questa volta. Alla fine, la soluzione compromissoria potrebbe essere realizzata. Bisogna salvare l’euro, evitare il contagio, non consegnare Atene all’area russa, e scongiurare quella che molti chiamano “crisi sistemica”. In pratica minare alle fondamenta l’Unione europea. Con grande curiosità, seguiamo gli sforzi e ascoltiamo le idee altalenanti del primo ministro senza cravatta Alexis Tsipras. Che sembra davvero il condottiero greco di un’improbabile armata Brancaleone. Se poi si leggono i pensieri in libertà del grillo parlante Yanis Varoufakis, ministro delle Finanze che in quanto a presenzialismo fa arrossire Vittorio Sgarbi, spesso c’è da mettersi le mani nei capelli. Gesto forse scortese perché Varoufakis è quasi calvo. Se infine ci chiediamo perché la maggioranza relativa del popolo greco abbia votato a gennaio per la sinistra radicale di Syriza, mentre gli istituti di ricerca dicono che un referendum sull’euro vedrebbe la vittoria del “sì” alla moneta unica, beh, non resta che alzare le braccia e arrendersi. Personalmente, confesso di non aver ancora capito la Grecia di oggi, che conosco, che amo ( mia moglie è greca) e che frequento costantemente da un quarto di secolo. Preciso meglio: forse ho capito qualcosa della Grecia, ma non posso dire altrettanto della maggioranza dei greci, perchè i greci sono generosi ma spesso mutevoli, proprio come noi italiani. “Una faccia, una razza”, non si dice così? Beh, sarà anche vero, ma per fortuna, avendo girato mezzo mondo, ho fatto qualche preziosa esperienza, ho visto molto e incontrato tante persone. « Per essere un buon giornalista » , diceva uno storico direttore del Times, « you must like the people » , insomma ti deve piacere la gente.
Il boom anomalo dei turisti. La gentemi piace, anche perché da ciascuno, se si è davvero curiosi, c’è sempre molto da apprendere. Per esempio ad Atene è facile scoprire in fretta che, nel cuore della devastante crisi senza soluzione di continuità da quasi 6 anni, i mesi migliori sono quelli estivi, quando il Paese si riempie di turisti. Ovvio? Visto dalla capitale greca non è detto che sia così ovvio, perché l’esercito estivo delle vacanze ( l’anno scorso l’incremento delle presenze è stato impressionante: + 30%) non si ferma neppure nella capitale, ma si indirizza quasi esclusivamente sulle isole, che soffrono soltanto— causa crisi — qualche piccolo e poco rilevante effetto collaterale. Quando sono arrivato in Grecia per la prima volta, avevo letto con attenzione qualche saggio: gli affascinanti studi storici di Antonis Liakos, le pittoresche analisi descrittive di Richard Clogg e, per abbandonarmi al sarcasmo più dissacrante, sfogliavo le pagine ottocentesche della Grecia contemporanea di Edmond About, dove avrei poi ritrovato alcuni paradigmi della situazione attuale. Cercavo allora di comprendere quali fossero le ragioni che avevano provocato l’improvviso tracollo, negli anni 80, del primo ministro socialista e fondatore del Pasok Andreas Papandreou, di sicuro populista, ma in assoluto uno degli uomini politici più intelligenti, scaltri e capaci che ho conosciuto nella mia vita professionale. Da un politico non ci si aspetta mai il meglio, ma almeno che sia capace di evitare al suo popolo il peggio. Papandreou, che alla fine della dittatura militare (’ 67-’ 74) aveva creato il Movimento socialista panellenico ( cioè Pasok), una specie di contenitore simile alla nostra Democrazia cristiana ma in chiave socialista, aveva infatti compiuto tre laici miracoli: portare nelle stanze del potere quelli che ne erano sempre stati esclusi ( medio- piccola borghesia e rappresentanti del mondo operaio); impedire, con un’idea geniale, che a sinistra si costruisse un unico, forte e compatto partito comunista, favorito dalla voglia di rivincita dopo la vergogna dittatoriale del regime dei colonnelli; fare un grande favore agli americani: attaccandoli in pubblico, e facendo almeno in parte i loro interessi in privato, o meglio nel sottoscala della sua reale volontà politica. Andreas Papandreou, figlio del primo ministro Jorgos, che fu un convinto apostolo del centro, aveva studiato e insegnato negli Stati Uniti, dove poi era andato in esilio. Aveva di sicuro
Papandreou, Karamanlis, Mitsotakis. E poi lo scandalo della Banca di Creta e il matrimonio dell’anziano capo del governo con la giovane hostess. Rileggere tre decenni di un Paese complesso, al centro di molte partite anche geopolitiche, è essenziale per capire davvero come si è arrivati all’ultima crisi. ( Questa è la prima di tre puntate)
amici e protezioni nella sinistra del partito democratico americano, e in particolare nei circoli vicini a Hubert Humphrey. Era tornato in Grecia, come altri oppositori della giunta militare, dopo la lunga notte della dignità ellenica, accolto come un salvatore della patria. Popolare sì, però assai meno di un altro grande esiliato, Konstantin Karamanlis, che aveva atteso il momento del ritorno a Parigi. Singolare, questa divisione geografica: i due uomini politici più influenti della Grecia democratica avevano scelto, per l’esilio, strade diverse: il leader liberal- conservatore in Francia, il socialista negli Usa. Eppure entrambi sapevano cheWashington non era estranea al colpo di Stato dei colonnelli. L’ha ammesso chiaramente l’ex presidente americano Bill Clinton, durante la sua visita a Atene, nel novembre del 1999. Con onestà e franchezza, Clinton ha chiesto platealmente perdono ai greci per ciò che avevano com- piuto i suoi predecessori, favorendo il golpe dei colonnelli. Per sanare le ferite di quella pagina vergognosa, occorreva ricreare, all’interno della Grecia, un clima di fiducia. Prima il centrodestra, poi il centrosinistra avevano spalancato i cancelli del settore pubblico: un posto di lavoro, o magari due per ogni famiglia, in cambio del sostegno al partito di governo: poco importava che fosse dell’uno o dell’altro versante dell’Assemblea nazionale.
Dinastie al potere. Quando Papandreou vinse le elezioni e raggiunse la stanza più prestigiosa del potere esecutivo, dove aveva abitato suo padre, e dove dopo di lui avrebbe abitato suo figlio George, cercò subito di coniugare la propria visione strategica con gli interessi del suo partito. Alla fine, più o meno direttamente, aveva tessuto ( o fatto tessere dai quadri
del Pasok) rapporti assai spregiudicati con l’allora presidente della Banca di Creta, Jorgos Koskotas. Un uomo che, fatte le debite proporzioni, somigliava agli affaristi che hanno punteggiato le fasi più opache della vita pubblica italiana. Certo, Koskotas non era potente come Michele Sindona o Roberto Calvi, nel momento del loro massimo “fulgore”. Era comunque assai influente. In sostanza un ottimo canale di finanziamento. Celebre il racconto- confessione della consegna di un voluminoso pacco di denaro contante nascosto in una confezione di Pampers. Gli scandali si materializzano e si sviluppano quasi sempre con modalità simili: si sa quando cominciano, non si sa come finiscono. E poi, quando i guai arrivano, molto spesso non sono singolari. Anzi, in un baleno diventano plurali. Papandreou, ferito politicamente dal caso Koskotas, di ferite infatti ne subisce subito altre due: o meglio, una ( amara) la subisce e l’altra ( dolce) la provoca. La prima è presto spiegata. Il cuore del leader socialista greco, sottoposto a micidiali dosi di stress e indebolito da uno stile di vita non proprio salutare, fa i capricci e si rende necessario un delicato intervento chirurgico a Londra. Ma al ritorno, ecco manifestarsi pubblicamente la seconda “ferita”, quella dolce. Da tempo tutti sapevano che al fianco del premier non c’era più la moglie, l’americana Margaret, madre dei suoi figli, ma una bella hostess dell’Olympic Airways, la giunonica Dimitra Liani, conosciuta sull’aereo, nel salottino di prima classe, durante un viaggio di Stato in Cina. In verità, Andreas era in viaggio con la moglie, ma l’affettuosa hostess, che cerca anche l’amicizia di Margaret, fa breccia nel cuore del premier. Al punto che Papandreou fa avere a lei e a suo marito una trasmissione sulla tv pubblica, dal titolo “Misò, misò”, cioè “Metà, metà”: quasi un presagio. Ovvio che il primo ospite in tv sarà proprio il primo ministro, il grande seduttore. La scintilla si accende quasi subito. Il marito di Dimitra si eclissa, rispettosamente. La Liani, allora, aveva l’esatta metà degli anni di Papandreou: 35 lei, 70 lui. È così emotivamente coinvolto, il primo ministro, da compiere alcune scivolate assai sgradevoli: come quella di scrivere una lettera collettiva a tutte le ambasciate presenti ad Atene, per comunicare che da quel momento la signora Margaret poteva essere invitata, ma privatamente, e « non come la moglie del capo del governo » . Il premier atterra ad Atene da Londra e, sulla scaletta dell’aereo, con il cuore riparato da alcuni bypass e l’aria trionfante, tende la mano alla sua nuova conquista e la presenta al mondo. Scandalo? Sì per i borghesi conservatori, che certe cose le fanno solo in privato e quasi sempre in segreto. No, per la maggioranza del genere maschile, che esalta fieramente il
machismo del presidente del Pasok e capo del governo. Il quale, politicamente indebolito dallo scandalo- Koskotas, che gli fa perdere il timone del governo, decide di rifugiarsi nel privato e di sposarsi con Dimitra. Matrimonio religioso, perché di matrimoni religiosi la chiesa ortodossa ne riconosce e accetta tre. Comincia così la lunga stagione, con ben tre elezioni politiche una dopo l’altra in pochi mesi, fino a quando il Pasok viene superato dal centrodestra di Nuova Democrazia. Certo, la legge elettorale ( preparata su misura, in quel caso, dai socialisti) favoriva il secondo partito e non il primo. Per un solo voto si costruisce la maggioranza, grazie a un deputato cooptato all’ultimo momento, di nome Katsikis ( si traduce capriolo), e si impone il premier Konstantin Mitsotakis: un liberale che Andreas Papandreou non sopportava perché lo accusava di apostasia, in quanto aveva abbandonato il partito di centro di suo padre Jorgos, creando nel passato una fatale crisi di governo.
Il “Ceausescu greco”. Celebrati intellettuali della sinistra, infastiditi e irritati da Papandreou, corsero, con il cappello in mano, alla corte di Mitsotakis. Mikis Theodorakis, che appartiene alla nostra memoria come uno dei più grandi musicisti del ’ 900, e che accusava Andreas d’essere “il Ceausescu greco”, accetta di fare il ministro del governo liberal- conservatore. Ma appena raggiunge il suo nuovo ufficio, cominciano i guai. Essendo, Mikis, un anarchico e un libertario decisamente simpatico e poco avvezzo agli ordini di scuderia, comincia a dire ciò che pensa. Un giorno mi diede un’intervista per il Corriere della sera, sparando ad alzo zero sul governo di cui era ministro. La sua segretaria mi telefonò, angosciata, chiedendo se avessi la registrazione. Alla risposta affermativa, sospirò disperata: “Oh no! Lo temevo”. Voleva dire che non c’era alcuna possibilità di smentire le frasi più imbarazzanti. Mitsotakis non governò a lungo. Ad allontanarsi da lui, provocando un’altra crisi di governo e nuove elezioni, ecco un uomo che ritroveremo negli anni successivi: l’allora ultranazionalista Antonis Samaras, che aveva sposato acriticamente, con dosi insopportabili di populismo, la causa del nome dell’ex repubblica jugoslava di Macedonia. Insomma, che la si chiami Skopje e non Macedonia, si diceva. « La Macedonia è greca da 3000 anni » , strillava e continua a strillare la destra più intransigente. Alle elezioni, nonostante le improprie sirene di alcune ambasciate, bastava seguire quel che usciva dalla più importante sede diplomatica presente ad Atene, quella degli Stati Uniti. Tutti, ma proprio tutti, lasciavano filtrare in- discrezioni che garantivano, sulla base di accurati sondaggi, il ritorno sulla scena di un uomo non certo nel suo massimo vigore, appunto Andreas Papandreou. Il quale trionfò, marcando una distanza oltre le previsioni dal secondo partito, appunto il centro- destra di Nuova democrazia. In quella notte elettorale davvero incredibile, il “risorto” primo ministro, prima di riconoscere i meriti di chi lo aveva votato, ringraziò calorosamente la moglie Dimitra, che da quel giorno divenne, in sostanza, il primo ministro- ombra. Stagione delicatissima, anche se l’economia, cioè il tallone d’Achille della fragile repubblica, non lanciava ancora segnali preoccupanti. La Grecia era entrata nell’Unione europea anche grazie ai rapporti speciali tra Konstantin Karamanlis e il presidente francese Valery Giscard d’Estaing, confermati dal suo successore François Mitterrand, e soprattutto benedetti dalla Commissione europea. Il commissario Jacques Delors era così filo- ellenico che non lesinò mai aiuti ad Atene. I greci che incontravamo, manifestavano gratitudine eterna per la continua e affettuosa protezione del “santo di Bruxelles”, e del suo “pacchetto Delors”. Di “pacchetti”, ricchi di lucrose prospettive contrattuali, Atene ne ha ricevuti a pioggia. Ma allora non c’erano restrizioni né austerity. Tutti vivevano, anzi dovremmo dire con onestà che tutti allora vivevamo al di sopra delle nostre possibilità. L’Italia, all’inizio degli anni 80, dopo la fase più cruenta del terrorismo delle Brigate Rosse ( in realtà ormai manipolate da servizi segreti, come sta affiorando), aveva trovato la via della pacificazione, dello sviluppo e della crescita. La stagione eversiva, insomma, si era conclusa. In Grecia no. Il gruppo terroristico di estrema sinistra “17 novembre”, che aveva preso il nome dalla data della rivolta degli studenti del Politecnico ateniese contro i carri armati della giunta militare, continuava a colpire: una o due volte all’anno, con micidiale puntualità e precisione. Nascondendo un segreto. Nessuno, ma proprio nessuno dei sui membri era mai stato individuato e arrestato. Qualcuno, molto in alto, evidentemente proteggeva, comunque non faceva nulla per impedire gli attentati dell’organizzazione terroristica.